Archivi del mese: Maggio 2003

-preferivi che fossi tossico?

almeno per quelli ci sono le comunità.

Ieri, in un posto che altri chiamerebbero “casa”.

vado a trovare mia madre. una donna alla sua età non sarebbe vecchia.

ma è una vedova siciliana. si curva sotto il  peso della sua stessa forza.

dovere di negarsi, e di curarsi di sè come fosse un’altra stanza della casa, nè più nè meno. spolverarsi e lavarsi. donne così, buie e linde  come una camera  della casa in cui per lo più non hanno una stanza propria. un pezzo di cucina.

nato dalla lingua madre – chi è cresciuto negli istituti –  non sa cosa sia una lingua madre.

partorirà la lingua da sè.

chiedere di vederti “sistemato” prima che muoia. che lei , cioè, muoia.

e invece sarei chiamato a rispondere a quest’unica  domanda  che lei dovrebbe pormi:    che cosa hai fatto di me?

 

quel giorno l’odore di fritto. e verdure cotte.

diciotto anni. lei mi guardava con lacrime taglienti.

-che cazzo t’importa se sono frocio, le dissi più o meno,  preferivi che fossi tossico?

– per quelli là , almeno,  ci sono le comunità di… come si… di recupero , ecco

Parola di madre.

e poi un altro  giorno. la valigia piena. il treno.

il mio bagaglio è diventato più leggero con gli anni.

un giorno, neanche lontano, sarà vuoto.

o  ne  farò  a  meno .

del tutto.

ho imparato a parlare alle vetrine di tutto ciò che non posso comprare.

e a volte mi rispondono: l’uva non era affatto acerba, era marcia.

Roma-Termini.  aprile 2003

ho preso un treno di notte pieno di militari e di lucette sbilenche e sudate. una notte di fiati  sporchi,  e scarpe e corpi traspirano vita porpora. luce da camera -oscura.

le fibie delle cinture,  ed i discorsi , si slacciano, le parole piano si spengono. sibili.

  Treno di emigranti,

vecchio di vent’anni / sento negli scompartimenti \come un eco / le parole piene di  speranza e /paura\ dei miei nonni / puoi capirmi ? il treno che viene su dalla sicilia\ se lo vedessi arrivare domani al mattino \ forse capiresti.

Roberto mi aspetta davanti al meddonals , io trascino una valigia che più passa il tempo più diventa leggera, il mio bagaglio diventa il vuoto incartato di  etichette coi nomi delle città visitate, come succede nei film.

lo sguardo di roberto non è come me lo aspetto.

 ha un’auto finalmente, non  dobbiamo  più , come l’inverno scorso, mentre ero militare , sbatterci coi mezzi pubblici di notte. ma  non importa, a roma splende.

andiamo a selvanera , o come minchia si chiama il posto che abita, casalotti o roba così, in un casotto prefabbricato piazzato in un cortile. come la cuccia dei cani.

me ne accorgo solo ora -come la cuccia dei cani- mentre ero militare mi sembrava il paradiso rifugiarmi in quella stanzetta 4×5 con bagnetto e cucinino microscopico. anche queste misure le vedo ora. prima ero felice di lasciare le camerate quando potevo, e trovare lì la mia casa.

Mariela non è andata  a bologna per via della partita, ci sono padri di famiglia pronti ad ammazzarsi per sta cazzata del calcio, roba per figli di buttana assoluti rincoglioniti per bene , a puntino, da chi ha il potere. insomma parte domani.

a pranzo lei ci serve a tavola , e come sempre non mangia con gli uomini. io mi imbarazzo a sta cosa qui che i due, montenegrini, trovano naturale, a quanto pare.

nel pomeriggio io e roberto usciamo, andiamo a scopare su in collina. anche perchè quella sera saremo in tre nell’unico letto.

mirela , ovviamente,  non sa nulla. forse neanche la parola.

l’indomani roberto mi dice che c’ha, appena parte mirella.

sei cambiato Malaca’, che c’hai, tu non stai bene, i capelli lunghi, i pantaloni larghi, è come se non ti frega più un cazzo, stai andando a fondo, e poi per telefono, sti discorsi che fai, mica ti capisco più io. stai invecchiando, parli come un vecchio di trent’anni,  come cazzo ti è successo , da quando ti sei congedato. te t’aggiusto io, aò, mica puoi annà avanti così. stasera nun c’ annamo a Valle Giulia. andiamo all’ eur  alle giostre, ti ammazzo se non ridi, non scherzo , malaca’. 

più tardi esce da una scatola la macchinetta per tagliare i capelli.

non mi oppongo. mi tosa per bene . faccio la doccia, appena esco dice mo’ ti conosco, e stai su che ho fatto i soldi , manco mi hai detto niente per il bmw, te l’ho detto non ti frega un cazzo più a te, ti stai drogando di nuovo, che c’hai ? 

come spiegargli sta cosa che ho fatto: prendere la parola?

e che tutto il resto mi pare inessenziale?

e che io sto nascendo solo ora?

e che non posso più spegnermi ormai?

perchè ho capito che ho diritto a dire,

e per un istante mi sono chiesto chi fosse quest’ avvocato Anna Mazzato.

lettera di Maurizio dall’ucciardone ( o come cazzo si scrive) arrivata stamattina:

Ciao (Malacarne) come stai?

ciama la vocato. Anna mazzato 1 aeri sera. ciò paura .

manno messo in solamento. mammazzo . ciao

Nessuno , nel collegio dove stava, gli ha mai insegnato a scrivere correttamente.

gli hanno insegnato a lavarsi. non che questo nella vita “fuori” gli sia bastato , ma è già qualcosa. credo che gli educatori tenessero all’igiene più che altro per se stessi., diciamola tutta , via.

oggi sono piombato – sorriso sfregiato bello stampato in faccia- a casa di A.

io non posso impicciarmi, sono cazzi troppo grandi per il mio culo – dico ad A. – nei giornali non ci sta scritto niente. Eppure sarebbe così facile controllare. ma non è vero che ho guardato.

maurizio è andato fuori di testa. Il tipo da cui abitava da sei mesi, A. , per l’appunto, quasi sessantenne, artritico, probabilmente hiv+ , lo ha buttato fuori casa.

immagino che maurizio l’ abbia vissuto come un secondo abbandono, dopo quello dei genitori. il tipo lo ha messo in strada perchè non gliela dava più, o meglio , non gli veniva su più dura . la minchia intendo.

duro all’incesto. stavi proiettando fantasmi.

è allora che sei finito , fratello.

si è messo a telefonare alla polizia avvertendo che stava per bruciare delle auto.

chiamava, generalmente, dopo aver gettato il fiammifero.

fuggiva. più volte. alla fine l’hanno portato dentro. cinque auto ha fatto fuori, se non sbaglio. io non dirò chi ha fatto l’infamità, chi ha avvertito “in tempo”, cioè prima e non a fatto compiuto, la polizia. c’è chi se ne rallegra. io no. eppure. in strada si sa tutto, anche i peli del culo ti contano.

il carcere è ciò che rassomiglia di più all’orfanotrofio. orari , comunità, una struttura. come la caserma. ma anche tanti altri posti che non conosco saranno così. saranno prigioni. ma io parlo solo di quello che conosco..

incapace maurizio di dormire da solo , abituato alle camerate , al respiro degli altri. a cullarsi di sospiri.

se dormiva da solo in una stanza, urlava nel sonno. forse adesso, in isolamento , lo sta facendo.

stanotte, non riuscirò a dormire, sentirò le sue urla.

sono cazzi troppo grossi per il mio culo. non posso aiutarlo.

la caserma sarebbe stata l’alternativa.

non ce l’hanno voluto.

hanno ammazzato uno all’ucciardone in questi giorni, maurizio dice di essere in pericolo di vita ed io non trovo di meglio che “avvertire” A. ( il suo “ospite”) e dirgli, con estrema “cortesia” , il tipo è “uno che può” , di occuparsi di questa merda.

sono qui per testimoniare il passaggio. tutto sarebbe documentabile.

ma non importa a nessuno.

noi siamo nati morti.

io. vado nonostante.

alla fine , forse, comincerà a dolerti. stronzo.

svegliarsi presto è come ricominciare un discorso interrotto da una pausa troppo breve.

ho ancora l’eco delle parole di stanotte. delle mie parole. altre non ne conosco.

parlando piano questa notte ho fatto le prove di una recita soppressa. La mia vita.

sto selezionando sguardi. ripeto. il porno è fuori di qui. puoi capirmi?

Roma, valle Giulia, primi giorni d’aprile.

accanto i cancelli, siedo e fumo e aspetto, e mi racconto una storia. e’ indispensabile sapersi fare compagnia quando lavori in strada.

Cristian è di ritorno, scende dall’auto del cliente. Sorride. appena l’auto va via:

dobbiamo andarcene, malaca’. sparire, io qui sto morto, lo vedi che siamo morti? Torniamo in germania, al Valentino sarebbe buono, cazzo, stai dentro, mica ci trovi sti malati, hai la camera, è meglio…

io ho chiuso con Colonia. è per Karl – Michael?

Karl- Michael è il titolo di un libro che ho fatto a brandelli.

..no, lascia stare, io fra un po’ torno giù.

dopo un po’ ha un altro cliente.

vuoi andare tu?

no, credo che voglia te…

non dire stronzate , a malaca’ , ti conosco, lo so io che c’hai , che è ? ti vuoi mettere in pensione tra un mese? vai a lavorà, non scassarmi il cazzo.

raccontarsi la vita, quando sei per strada, magari fai finta di essere uno di quei froci che vedi nei locali, ti inventi una consistenza che gli altri possono capire.

farsi compagnia. parlare. Testimoniare il passaggio. urlare se è il caso.

il silenzio ti squarcia dentro , altrimenti. e poi diventi silenzio anche tu.

piove, ziocane. sono appena rientrato. niente da fare stanotte. ho appeso i vestiti in bagno. gocciolano piano. c’è uno spleen nell’aria che mi penetra assordante in sinestesie viola dal buco del culo. era meglio non fumare, merda. era meglio non uscire affatto,

avvolgersi in un lenzuolo e spegnersi,

è sempre così quando piove. mi appendo a testa in giù al soffitto della stanza e sento la pioggia sotto i piedi .

(sto selezionando occhi, come sempre, il porno è fuori di qui).

Roma , ultimi di marzo  2002.

piazza repubblica, gli alberi mi dicono qualcosa, 

 intendersi coi rumeni e gli slavi, un’impresa, ma poi ci si calma.

Appena dico che sono siciliano . Manco fosse la parola magica.

  prendo un “passaggio”, andiamo a Villa Giulia, dico.

ma lui vuole andare in sauna in via Aureliana.

odio quelli che vogliono andare nelle cabine dei locali a consumare, e che cazzo, non possono trovarsi uno lì?

non come voglio io, mi risponde. Ed in effetti il tipo, quarantenne stempiato , pizzetto arancione (?) – il resto inventatevelo- ha poche probabilità di trovare uno “come dice lui”.

e poi,  al momento di pagare l’ingresso, riafferma platealmente il  potere d’acquisto. paga per entrambi.

credo si senta più al sicuro lì.  e le solite froce chic , pardon i gay,  che guardano e fra i denti sibilano: marchettaro.

guardati allo specchio stanotte e ripetitelo come un mantra: marchettaro.

alla fine forse comincerà a dolerti. stronzo.

 

nei libri ci stanno tutti i nomi. alcune risposte. molte domande.

e le menzogne. Soprattutto.

” il poeta ci dà un libro da leggere,

ciò che dice è detto gratis,

ciò che tace era l’ essenziale”.

Berlino, 1999

Appuntamento in Potzdamer Platz con Juergen, conosciuto la sera prima in un locale sulla Motzstrasse, un locale per Strischer, come chiamano qui le marchette.

un altro che vuole “salvarmi”. Ma è un bravo ragazzo.

in mezzo al cantiere futuribile, su una panchina di fronte ad uno stagno, quello che oggi sarà diventato un lago artificiale e pista di pattinaggio ( secondo il progetto di Renzo Piano, si affretta a dirmi ed io dovrei esserne orgoglioso…) chiacchieriamo mischiando francese e tedesco, alla fine ci sintonizziamo.

mi invita quella sera ad una recita . la compagnia teatrale formata da un gruppo di ex prostituti.

un altro che vuole redimermi , dicevo. Sorrido.

che recitano? ( in tedesco, come in francese, ed in inglese “recitare” suona come “giocare”)

Brecht.

non lo conosco , dico, e qui tira fuori un libro dalla sacca che si porta dietro, ed io capisco che sta ripetendo una scena a memoria. la sua opera di redenzione.

il passo, mi spiega, è una critica all’estetismo di Thomas Mann, che in quegli anni pubblicava la Montagna Incantata (non conosco neanche questo, gli dico).

legge qualcosa come (se ben ricordo):

il poeta (parla di Mann) , ci dà un libro da leggere (La Montagna incantata), ciò che dice è detto gratis (è un esteta ed un borghese, uno che ha tentato di conciliare le due cose)

ciò che tace (la lotta di classe) era l’essenziale.

verrò, stasera, contaci.

mentivo.

le opere di Brecht le presi in prestito in biblioteca solo qualche anno dopo.

perchè non andai?

la sola idea di questi ragazzi pronti ad esibirsi di fronte ad un pubblico di compiaciute dame di carità di entrambi i sessi, che si sditalinano il culo pensando a quanto siano state buone e munifiche a pagare il biglietto e sostenere i giovani prostituti sulla via della salvezza…mi soffocava.

quella sera, ricordo, andò bene, così che il giorno dopo anticipai l’affito per un’altra settimana.

Berlino, agosto-settembre 1999.

Ieri

il tipo mi dice: stai zitto, che minchia ne puoi sapere tu…

cazzo non sai quel che rischi, avrei voglia di spaccarti il cranio sul parabrezza della tua bella bmw iperlustrata. stronzo

invece sorrido, intasco i cinquanta, e l’inculo come piace a lui, con rabbia…

appena salito in auto aveva cominciato a parlare di queste elezioni, arrivati sul “posto” , dove porto i clienti, lui mi dà un “santino” : è mio zio , si porta per forza italia , per essere liberi (canticchia davvero).

gli dico lascia stare, non mi serve il tuo volantino, per asciugarmi la sborra ho già i fazzoletti .

che cazzo ne capisci tu di politica? mi dice

potrebbe dirlo di qualsiasi altra cosa , scienza, arte, economia, letteratura, film , circo , moda, qualunquismo, sport, astrologia, omeopatia , aerofagia…

Io non ho diritto a “prendere la parola” . sono una marchetta.

è questo che dovrei accettare. Ma non è così.

NON E’ COSI’.

la presa di parola non vuol dire ” parlare “.

potrei parlare in tv , scrivere un libro , raccontare “la mia storia”, il “caso umano”. Continuerei a prostituire la parola, e me stesso. La presa di parola invece è gratuita. Prendere la parola… vuol dire essere sicuro dei tuoi mezzi e dire quel che pensi senza che questo ti procuri alcun vantaggio (a parte l’innegabile gratificazione narcisistica).

ecco perchè scrivo “ex “prostituto

perché quando mi sono reso conto di aver “preso la parola” io ho smesso di esserlo .

ora mi sento più forte.

GENETicamente modificato, GenETICAMENTE più forte.

autodidatta non è chi ha imparato qualcosa da sé , è chi ha imparato se stesso

dalle cose.

io lo sono in entrambi i sensi.

chissà domani se potrò ancora prendere la parola.

vado a prepararmi. è gia tardi.

la carezza cercata nel palmo di migliaia di mani era sempre e solo la tua, l’unica ambita e mai ricevuta. Padre.

Il male lo ha corroso. Al suo capezzale cinquanta giorni, a intessere una conversazione con me stesso, a parlarmi d’amore.

neanche i suoi occhi mi hanno risposto. Coma vigile.

quante volte ancora dovrò chiederti perdono per ciò che sono? in sogno ciò avviene. Da desto mi libero. Assumo tracotanza. Niente da dimostrare. neanche a te.

Il cazzo? no, non me lo taglio il cazzo e chi lavora più sennò,

Parola di un trans. Io ascolto e sorrido, a lei piace il mio fisico, dice che sembro davvero un Malacarne.

sono uno che fa la “vita”. Come dicono i borghesi, noi diciamo “la strada”, oppure non diciamo niente.

Tre e un quarto del mattino, sul viale il mondezzaio degli schiavi del mondo, quelli in vendita di notte e quelli in vendita sempre di giorno nel grande puttanaio sociale borghese , quelli che di notte passano a “caricarci”, quelli che di sabato escono solo per tirare bottiglie ai froci, per dimenticare che la prendono in culo dal capo o dal padrone ogni giorno…quelli che poi lasciano le ragazze , o le mogli e ripassano…

Mi lasciasti u spregio permanenti?

ora ti mangiano i vermi…e qua ti lascio

Così conclude Irene. Parola di trans.

120 chili di ormoni e mascherone che non nasconde niente, meno che mai l’alone grigio della barba.

non c’è tensione fra marchette e trans, anche se i tempi sono duri , non è più come nel novanta, mi dice, quando ha potuto farsi “le plastiche”.

ora si lavora per sopravvivere.

Irene , nato Giovanni, tecnicamente lo è ancora. Fisicamente è una Venere di Botero o la Venere preistorica.

Lo sai, è morta la Memole, mi dice, ma io non so chi cazzo sia…

un’altra? è un’ecatombe…che cazzo sta succedendo?

– è morta impiccata. Si è ammazzata.

ma la storia era iniziata prima.

Passo da Gianfranco, sono giù cazzo è morto un mio amico , uno che stava a Firenze, intrippato male, lavorava per quello . Avevamo fatto Palermo-Firenze in auto , 160-180 , musiche dei Cure, io avevo come un presagio di vita , come se il tempo di vivere fosse morto…

gianfranco dove minchia sei con la testa, lascia stare , non raccontarmi niente…

Siamo andati a bere in un baretto , birre a poco prezzo, lui ha preso dalla sacca la bottiglia di vodka saccheggiata dagli scaffali di un pub gay , un locale per i froci di serie A , quelli rassicuranti, quelli sensibili , quelli Gay, quelli pride. Integrati.

Disintegration era a tutto volume, Palermo-Firenze, abbiamo lavorato nei locali, era inverno, mica come qua , la notte di natale, te la ricordi la notte di natale in strada? Perchè l’abbiamo fatto? Eravamo così a secco?

non avevamo di meglio. Il viale è il tuo rifugio , e la famiglia.

siamo orfani “prima”di diventarlo, siamo abbandonati a noi stessi, per questo siamo gli schiavi più liberi.

Al pub per gay fescion c’è Paola . Il segno sul suo viso del taglio di una bottiglia è quasi invisibile . Lo “sfregio” fattole da un tipo all’uscita di una discoteca. Capisco che c’è tensione fra Gianfrà e lei, andiamo subito via.lei è una lesbica la cui femminilità si limita alla chioma bionda, per il resto tutto fa supporre che abbia lasciato un camion in doppia fila fuori dal locale. lei è figlia di una famiglia “rispettata”, non so se mi spiego. La scena si svolge in Sicilia, non dimentichiamolo.

Paola aveva giurato vendetta. In viale Gianfry si dilegua subito. Io vado a scambiare due chiacchiere con le trans…

Irene, chi cazzo è sta Memole?

Come chi è? l’amica di Gianfranco, quella che lavorava a Firenze, era uscita da due giorni dal carcere, perchè aveva sfregiato la lesbicona…

e si impiccò, o l’impiccarono…

Mi hai lasciato lo sfregio permanente, ora ti mangiano i vermi…e qua ti lascio…

Andiamo a lavorare…

è ORA. Fra dieci minuti comincerò a prepararmi.

scendere ancora in strada. “Il viale”. Aspettare fumando, perchè ho ripreso, cazzo.

chissà quali nuovi incontri. Di certo rivedo Gianfranco, il più “vecchio” fra noi marchette. Mi racconta. un giorno dovrò parlarne. non ora. Vado.  

Sveglio di vita, oggi il sole mi schianta.

Sto procrastinando, lo sento, sto tergiversando, sto selezionando occhi.

Sto scoraggiando voyeurs , sto nobilitandomi, sto , in fin dei conti, censurandomi.

Alla fine chi l’ha dura la vince, forse sto eccitandovi, sto ritardando perchè l’orgasmo sia massimo, ebbene è tempo di parlare di cazzi miei.

Marcio, il suo eterno parlare, le sue mani , io le odio.

la sua villa a tre metri dal mare. Condonami il condom. in fila sul ripiano. preservativo, lubrificante e sigarette.

le sigarette sono per me, lui non fuma.

I teli da spiaggia sulle lenzuola, più giustificabili da lavare, anche se non deve giustificarsi affatto con la colf, “ma sai è una di famiglia”. Infatti lavora al nero.

Sei un bastardo medio-cetaceo ed i soldi che mi dai per essere la Valvola di sfogo del tuo perbenismo borghese del cazzo , è nulla. Io ho pagato con la Vita la mia libertà sessuale.

Quando esci i soldi dal portafogli, io immagino la foto di tua moglie, che non ho mai visto , messa dietro a quella dei tuoi figli, che ho visto.

spero non ti somiglino. Anche “dentro”, intendo.

“Marcio” , io odio le tue mani, le odierei anche se fossi meno quello che sei.

Ma tu mi aiuti.

Era lei al telefono, Francy.

Ci vedremo a cena. Forse sul tardi darò appuntamento anche a “Marcio”, tutto sommato abbiamo un rapporto che dura da tempo, se ci rifletto sono quasi tre anni, da  prima che mi trasferissi in Francia. Gli spiegherò che questa sarà l’ultima volta.

Farò gratis.

Ancora messaggi di “Marcio”, ogni volta che accendo il telefonino.

-ci vediamo?

-infilati una trave, stronzo, sto male, le mie pulsioni di morte fanno a pugni fra loro , vogliono scannarsi, ascolto “Who will love me” di P.J. Harvey e da ciò intuisco che non voglio reagire.

e invece gli ho detto solo: – telefona domani.

Ho spento il cellulare. Nessuna voglia di fare marchette. Per quello che mi vorrebbe dare…

uno degli ultimi clienti fissi, devo spiegargli che ho smesso.

A casa , invece , mi telefona Francy, le spiego perchè sono irraggiungibile da due giorni, ma lei non ride, c’è qualcosa nella sua voce..

scoppia in lacrime.

– ho un polipo, lo stanno analizzando , avrò gli esiti lunedì.

Le hanno detto: signorina, vedremo, dobbiamo operare , o lei si ritroverà col cancro a ventotto anni…

La ragazza più solare che io conosca.

Al telefono, per un istante, ho ripensato alla scena in ospedale, quando a mio padre è stato scoperto il cancro al cervello.

– dobbiamo operare subito, stanotte stessa..

– ma si rimetterà? resterà paralizzato?

– morirà entro due mesi..

-cosa? ma allora perchè cazzo l’operate..

– non mi sono spiegato, se non l’operiamo non arriverà a domani.

io sono morto quel giorno. ero un bambino.

Quel che rimane, oltre la fuga di anni. quel che rimane sono i segni di migliaia di mani ,  tatuaggi invisibili agli occhi. quel che rimane, quando cesseranno questi dannatissimi Venti, questi vent’anni violenti, sarà l’eco di una sola parola che non ho avuto diritto a pronunciare.