Archivi del mese: giugno 2003

[let me show you the world in my eyes]

London , double zero.

non abbiamo che l’età che abbiamo, e tu lavi piatti per una miseria

da SoHo a Trafalgar square, cade l’ombra.

scatole cinesi di quartieri. labirinto sudato sotto i cappotti nel week end impazzito , la fila di quelli “dalle nove alle cinque”, incravattati. al guinzaglio.

i nostri occhi sono biglie. gialle le lenti degli occhiali. proteggono Qualcosa.

siamo in un tunnel antidepressivo.

Londra , Trafalgar square, Nelson Column fallico trionfa sopra i morti. House of Parliament , vista con gli occhi di Monet esposto alla National Gallery.

londra tu muori d’argento sotto il cielo d’infarto.

pilloline a tre pound. per essere felici.

a pill to make you numb

a pill to make you dumb

la nostra stanza puzza di nafta e moquette e piedi sporchi e quando comincia a piovere merda piove per sempre.

ripeto:

quando comincia a piovere Merda, allora pioverà per sempre.

e tu lavi piatti per una miseria. la mia schiena spezzata dal letto. Io non guarisco da una piaga nascosta.

eppure.

vomito trasparenze.

torniamo a lavorare per l’agenzia. bordello autorizzato.

90 pound a cliente.

valium in vena.

90 pound a cliente.

45 per l’Agenzia. Regina magnaccia.

spappolare lingue nel silenzio , abbiamo cuffie che sparano in vena Paranoid Android.

al bar cicaleccio ispano – nipponico babelico. Tutti i prostituti e le puttane prima o poi si incontrano a Londra.

tutti i bambini perduti prima o poi….

cade l’ombra.

scaviamo sorrisi

acido lisergico , funghetti . Alice lo mangiò e fu felice.

cade un’

e non me lo vuoi dire che tanto all’età che abbiamo…

puzzo di piedi e di ombra naftalina , luce del neon dell’insegna di fronte entra nella stanza dalla stretta finestra, ti dipinge la faccia di un blu-rosso-blu postapocalittico.

cade.

Cat, il tuo nome l’ho scordato. solo il tuo verso ribattezzato, il tuo cervello spappolato, perchè sei fuori come una grondaia.

a pill to make you anybody else, but all the drugs in this world can’t save you from your self.

fuori come una grondaia. e quando comincia a piovere merda tu ti riempi.

valium in vena, chiamami Cat, lsd.

sul tuo nome cade un’ombra.

il cliente lo pisci sul piatto della doccia.

non abbiamo vasca,

stanza puzzo di piedi moquette ombra londra, urina,

fist fucking my ass.

first: fuck my heart

vecchio culo cadente cliente raccattato col sistema dei bigliettini nelle cabine telefoniche.

in bilico allarga le chiappe.

il porno è qui e ora il porno ha preso la parola, scivola glissa odora di merda e sperma e sangue e vomito scivola glitters sotto gli occhi di Cat, cade un’ombra…

e Tu , Cat, dove stai ora? spaccami l’anima, mi dici, chè ho paura.

e non me lo vuoi dire che stai cercando solo di morire…

le favole non moriranno mai.

Palermo, inizio del pomeriggio.

ho parlato a una lastra di marmo

e fu sera e fu mattino settimo giorno.

sopra c’è un nome e dei numeri. labirinto di cipressi senz’ombra. Sta finendo il tempo fermo . Mezzogiorno.

ho raccontato tutte le fiabe alla polvere. immerso nel sole dell’inferno. perchè l’inferno è essere un bimbo stanco impaurito, solo in una carverna , che vuole morire e non può. Ripeto: non Può.

scirocco nei vialetti bianchi del

labirinto di ossa e cipressi e fiori marci in tempesta.

cercata l’ombra dei cipressi, il sole di un eterno mezzogiorno mi ha raggiunto. Vuole impormi la vita ed io mi Arrendo.

il silenzio era l’armistizio, la mia parola volgerà in musica di frammenti, per dire ciò che il silenzio Tace. la musica non è silenzio, ma la carne fatta parola.

esco dal cancello del cimitero. e per la prima volta, dopo sette giorni, lo guardo in faccia , il volto abbronzato oltre il banchetto del fioraio. i suoi occhi mi ridono. e forse hanno voglia. la canotta verde militare unta di fiori , le braccia indaffarate scuotono l’aria . abbassa lo sguardo e sorride. imbarazzo.

chi cauru ca fa, mi dice lapalissiano, fa un caldo , un freddo, fa un tempo. Possederti nel corpo, fratello , è sputtanare la Morte. Forra cosa d’iccarisi a mari tuttu u jorno.

buttarsi in acqua , farsi un sepolcro col mare, per risorgere al sole postprandiale.

fratello, rovescia il banchetto dei fiori, ti porto al mare.

sali sulla motoretta scassata, corriamo al giorno, butteremo i fiori fra gli scogli perchè nascano le onde, possederti nel corpo è sputtanare la morte.

vieni al mare con me, spargi i fiori al vento perchè nasca dio.

ti racconterò la favola che non può Finire, la favola che non può morire, vieni con me fratello, ti porto a sentire la voce del mare , quella che non può più TACERE:

c’era una volta un bambino…

poi è nato.

Palermo. La metà del giorno.

la voce al telefono. non la riconosco subito. E’ Giuseppe che dice: se n’è andato stanotte.

ed io che penso: dove?

poi il cuore più veloce dice. Giovanni.

poi gli occhi che marciscono d’acqua e tuttavia non piangono.

IO NON PIANGE MAI. 

la voce al telefono mi parla e mi dice.

oggi c’è il sole. di certo sarà un bel funerale.

nel loro vicolo di Borgo Vecchio. Il sole arriva solo a mezzogiorno.

mi parla al presente, Giuseppe: e allora quando c’è il sole a mezzogiorno io prendo le sue ossa , leggero come un lenzuolo lo siedo sulla carrozzella a Giovanni lo chiamo il mio bambin

e lo porto fuori nel vicolo al sole. ci ha la nostalgia del sole della luce, ma mica me lo dice.  io lo capisco.

vuole che ci vestiamo di bianco al funerale. perchè eravamo angeli prima. poi siamo nati morti.

precipitati.

testimoniare. Giovanni non è

fu qui

32 anni. era un angelo prima.

io gli raccontavo favole nere, quelle vere. lui  spesso le conosceva, allora dovevo ricominciare. perchè le parole fossero l’eutanasia.

occhi marci d’acqua non piangono.

TRAMANO NEL BUIO LA LUCE.

e la luce fu.

chissà se dove sei piove o c’è il sole.

magari anche lì è mezzogiorno ades

mani come ferri roventi. mani caimani. il mio corpo è terra devastata. olocausto è l’anima mia d’amianto.

Palermo , fra poco.

terzo appuntamento fra mezz’ora. devo andare. il fuoco che brucia  viscere e  cervello si annacqua nei segni che scrivo.

ho imparato a vendere il corpo e tenermi l’anima. basta fingere di non averla, un ‘anima.

ho imparato a vendere il corpo e a tenermi l’anima . io non ho un’anima.

il mio corpo è terra di olocausti. non vendo la mia parola ma la carne.

sto/esorcizzando|il porno\ il porno è fuori di qui,

io vado verso altrove,

io non ho anima.

io sono nato morto. strappato d’anima.

questo concetto desueto.

vado verso oltre,

 

e cantavamo:

non c’è sosta se non sulla cima / questo motto è un impegno d’onor.

ricordiamo la giovine gloria / che fa battere il cuor dei suoi fanti /

Avellino vuol dir “sempre avanti” / Avellino vittoria vuol dir.

Avellino , gennaio 2001.

alle sei del mattino infilo il secondo mutandone di lana, la mimetica completa, larghissima, doppi calzettoni verdognoli, sono figlio del sole , che minchia ci faccio qui fra le montagne?

la fila davanti l’armeria, prendiamo i fucili. usciamo sulla piazza d’armi, il buio ingrigisce la neve. lasciamo i F.a.l. a terra e sotto i capannoni ci raduniamo .

dest-riga – fissi, riposo, a…ttempo, cazzo , a tempo – urla il caporale – a-ttenti.

ri-poso- attenti, sinist-riga- fissi. Riposo. All’infinito.

l’inferno è ghiaccio. l’ho capito ora. taglia la faccia. l’inferno è non amarsi più perchè il tuo corpo ha fame e freddo e vuoi morire e non puoi.

poi spunta un sole effemminato , e quando un raggio di pietà ti carezza la faccia tu vedi dio.

la marcia lascia schizzare la poltiglia di fango e neve, granita sotto gli anfibi. scivolo cristo il perno sta fermo e l’ala vola! urla il caporale istruttore.

il perno sta fermo e l’ala vola. io, sporco bastardo, mi sono infilato al centro della fila. si sta più caldi.

marciamo col f.a.l. in mano, e dopo dieci muniti ‘sto fucile è una croce. smette di essere un simbolo fallico e diventa una semplice rottura di minchia. spezza le ossa.

il cielo s’oscura, la Prima fa paura! urliamo a tempo. la Prima compagnia siamo noi. Prima compagnia primo plotone prima squadra, quelli arrivati all’alzabandiera del primo giorno di chiamata, abbiamo preso le camerate più nuove, quelle con le docce migliori , l’acqua calda.

sia che abbiano messo bromuro nel latte , sia che il puzzo che emaniamo sia un deterrente bastante nessuna pulsione sessuale mi afferra ancora. il mio vicino di fila , marciamo uniti e compatti, ha dimenticato i guanti, ogni tanto soffia sulle mani, ha freddo e ha le dita viola. gli prendo la mano. mi dice : grazie compa’, con accento calabrese. inutile tentare di scollarmelo più di dosso. a pranzo e a cena, poi mi dice : usciamo? sono il suo eroe anche perchè ho litigato con uno stronzo che c’era passato davanti in fila a mensa. sono il suo eroe ma non sa cosa rischia. se continua a strusciarsi . solo la sera comincio a temere il peggio. il peggio sarebbe una violenza sessuale , voglio scoparmi la recluta Elia , il piccolo calabrese dagli occhi d’oro e culo sodo. cazzo come voglio scoparmi la recluta Elia. devo pensare ad altro o faccio un botto.

la sera mi chiede se può fare la doccia nella nostra camerata. il fesso si è fatto fregare tutta l’acqua calda dai suoi compagni di stanza. ogni stanza nella caserma Berardi ha bagni e docce. pareva una merda doverle pulire, ma solo nella caserma di destinazione mi accorgerò che tutto quell’inferno era il paradiso.

ha già l’accappatoio addosso, e dà per scontato che io dica sì. già questo mi sta sul cazzo. ci sono regole non scritte in caserma che valgono più delle altre. una volta si chiamava nonnismo. era quello che faceva funzionare il meccanismo. Gli dico va bene – infatti sono il capo cameretta , posso fare quel cazzo che mi pare qui dentro – ma il tipo che dorme accanto a me non si è ancora lavato, avrebbe la precedenza, regole incomprensibili se non sei stato soldato , capisco che ho fatto uno sbaglio.

mi sto vestendo quando il tipo che dorme accanto a me incazzato esce dal bagno: guarda la merda che ha lasciato tuo compare , mi dice.

le docce sono un cesso. Il calabresino, Elia, ha fatto acqua dappertutto e c’è un’inferno di segni di anfibi di chi è entrato dopo. cioè il mio vicino di letto. l’ha fatto apposta. i calabresi gli stanno sul cazzo. sta merda deve sparire prima del contrappello o verremo puniti.

chiamo il calabrese, si sta vestendo nella sua stanza. l’amicizia non c’entra niente, qui conta il rispetto.

glielo devo fare capire. non finisce manco di vestirsi. prende secchio bastone e straccio (il mocio sarebbe una effemminata sciccheria credo, per questo non li comprano in caserma) e va ad asciugare. zitto. gli altri suoi compari di stanza , di fronte alla nostra, parlano a voce alta. dicono che siamo mafiosi. di merda.

facciamo finta di non aver sentito.

per ora.

il mio vicino di letto, Francesco, è soddisfatto. entra pure una volta dopo che Elia ha pulito. quello bestemmia. di nuovo gli anfibi . chiamo Francesco, gli dico con estrema gentilezza che gli rompo il culo se lo fa ancora. quello l’ha capito che ha sbagliato e sta pulendo porc’odio.

Elia in slip e maglietta asciuga tutto. saremmo dovuti uscire insieme. ma dal suo sguardo triste capisco che non è il caso. ci sono regole non scritte. o le fai rispettare o non sei nessuno in quest’inferno.

più tardi ci incontriamo in uno dei bar del Corso stracolmi di nuche rase. lui è coi compagni di cameretta , tutti calabresi. quando ci avviciniamo, stanno zitti , manco fiatano. siamo in cinque noi , quasi tutta la mia squadra. un pugliese e il resto siciliani scassati. tutti filgli di puttana, non c’è che dire. I figli di papà o fanno il servizio civile o gli arriva il congedino a casa. altri partono volontari, ma se c’hai avuto la cattiva condotta, chessò un motorino rubato, o hai furtato qualcosa mica ti ci vogliono. e poi chi cazzo ci vuole andare volontario nella loro prigione di merda. sono nato figlio di mignotta, in galera, chiamala scuola caserma fabbrica, mi ci devono portare con la forza. fottuti sbirri. tutti sbirri infami.

di leva, dicevo, quasi tutti gran figli di mignotta. facce tagliate. dopo tre giorni ci chiamano già mafia.

magari! – dice Francesco, il mio vicino di letto – poi si impelaga in un discorso spappolato appena vede una checca davanti al bar: i froci sbavano appresso a noi in libera uscita. fanno i leccasborre e le moine, e ci vogliono i cazzi che pare che a loro mica ci funziona giusta, nè la testa e manco la minchia, ma poi se ci chiedi due lire a ‘sti froci, quelli fanno mille storie, perchè sono convinti che a noi ci manca la figa , mica lo sanno che i soldati hanno solo fame sonno sono stanchi di subire e vogliono tornare a casa , le fighe le trovi se sei sveglio, i bar sono pieni di fighe, se ci hai due lire per la birra sei a posto. ‘sti froci mica lo capiscono, si mettono lì come se ti fanno un favore al cazzo…

quelli si chiamano gay gli dico. i froci sono un’altra cosa. ma vallo a spiegare a ‘sto coglione.

al bar il calabrese mi guarda incomprensibile. forse c’ha voglia di tornare amici dopo quella storia che s’è dovuto umiliare. li accerchiamo. prendiamo delle sedie. loro stanno zitti.

c’hanno paura e hanno pure ragione ad averla, perchè al mio vicino di letto, Francesco, i calabresi stanno tutti sul cazzo, vallo a capire perchè.

una ragazza viene a prendere le ordinazioni. cominciamo a fare gli scemi con lei. ed io gli chiedo al calabresino mio che cosa vuole bere che gliel’offro io. e lui mi guarda finalmente negli occhi. io spero solo che dica sì. cazzo dici sì o sei fottuto – penso-lo capisci che sei fottuto? ci sono regole non scritte. se rifiuti stai rifiutando la pace che ti offro. e sei, assolutamente , finito.

Francesco, quello che odia i calabresi, aspetta solo che lui dica che non ha ancora finito il suo bicchiere. proprio lo sento. gli leggo nel pensiero. non aspetta che questo. che il calabrese dica no. quando non accetti la pace tu stai aprendo una fila infinita di inferni.

il calabrese sorride. dice sì.

conosce le regole. fratè, mentre aspetti bevi. e mi offre il suo boccale.

ci sono regole non scritte. onore e rispetto. voi non potete capire.

il sogno Travestito sotto la luna.

Palermo, un’ora della notte fra ieri e oggi.

no, in culo mi fa male, in bocca mi fa schifo, a mano mi stanco, dice Nazareno al gruppetto di stronzi, l’ennesimo , che si ferma per ridere e chiedere una pompa gratis. Sono in quattro. Inutile cercare la merda. Contro ‘sti repressi in branco o usi le molotov o rassegnati al massacro, e poi finisci dentro tu, per giunta.

dico no al terzo cliente. improbabile a quest’ora, a Palermo, ce ne sia un quarto.

dico no alla notte. alle mie scarpe. alla strada. al tempo, dico no. No. mi difendo. da bambino lo sparavo al mondo ed era sempre e solo no. poi vennero i forse.

mi salva la scatoletta blu costosissima dell’Erotica. Capelli come stormo di corvi impazziti , scuote la testa. Il nome se l’è preso in prestito dalla musica pop. Lo so che non sono bella, manco le plastiche ci hanno potuto. Non sono bella ma sono erotica. Parola di trans.

acchiana malaca’, sali cu mia.

salgo con lei. sfreccia come una scoreggia in fiamme ad ogni incrocio. e porc’ odio , ‘rotica ci ammazziamo che cazzo di cane…. L’auto scorre che pare una scatoletta di tonno messa di fianco che rotola giù sul piano inclinato d’acciaio della cassa dei supermercati. Sbanda poi riprende il controllo. Colpo di culo non ci ha presi una Punto al semaforo in via Duca della Verdura.

Vuoi comprare i cornetti da Ganci? chiedo, ma lei corre impazzita , incrocio via la Marmora, incrocio via Scrofani. pianta i freni. cristo pianta i freni. e che cazz’hai pres’ormoni scaduti? porcocane mica ciò l’età io per morire, fammi campare qualche anno ancora, chessò fammi finire i venti…

avrei dovuto dire: lascia che passino i venti., fa che cessino questi dannatissimi venti. .

Malaca’ mi fa lei, l’Erotica ha fatto un sogno…un sogno come la cosa del deserto…la regina…

Ah il film, Priscilla culo aperto…

Quello lì, sì , l’ho visto ieri e poi stanotte ho fatto un sogno.

l’ultima volta che sono salito con lei aveva ancora una fiat 127 . abbiamo speronato un cliente che non aveva voluto pagarla. era stato meno pericoloso.

svolta per la Favorita. Piazzale dei matrimoni. Si ferma fra le decine d’auto posteggiate.Tiro il fiato. dagli alberi per scissione nascono ombre d’uomini. ed io so di che hanno bisogno queste creature appena nate , così vecchie. di un cazzo grosso che le nutra. Ingorde.

Erotica scende dall’auto. un metro e novanta di magrezza estrema , occhi allampanati neri come la morte. ha addosso un pareo blu annodato sui seni piccoli. Tutti ormoni, solo ormoni. scioglie il pareo. sotto è nuda. il pareo scivola svolazza cade come l’ala di un pipistrello .

piccoli fianchi gambe lunghissime cazzo emorme. da moscio. seni sodi. per un istante tutti si bloccano. Poi il tempo si riprende. i froci si allontanano mentre lei si addentra fra gli alberi.

Sono l’Erooootica, urla alla luna. questa sono. e si allontana verso la collinetta. rimpicciolisce come una miniatura medievale, un diavolo ermafrodita.

siedo su di una panca e fumo e aspetto.

nuda e bianca come la luna. Lei . lui. Sparisce fra i cespugli. Il suo urlo rivolto al satellite tisico suona ancora.

la luna, ne sono certo,  nel suo linguaggio iniziatico,  le starà rispondendo.

adesso io non ho paura.

Palermo. Adesso

piove diocristo , piove.

e ci ho voglia solo di avvolgermi ancora una volta nel sudario del lenzuolo. lasciare una sindone di angoscia.

è sempre così quando piove. sempre così.

stasera non uscirò. diocristo, piove.

ho visto il tuono squarciarmi il cervello e ficcarci dentro un delirio di luce di lampi.

è . sempre . così . quando. piove,

ma quando piove davvero che diocristo ce la manda che ci inonda ed io mormoro una bestemmia ad ogni frase, in vece di una prece.

da bambino ricordo che non avevo paura del temporale, neanche di quello.

è che ho imparato troppo presto a fare a meno di braccia da elevare a rifugio.

col tempo le mie braccia sono diventate forti. muscolose.

adesso se avessi paura saprei dove rifugiarmi.

mi abbraccerei da solo.

…questo è il paradiso?

e allora l’inferno com’è?

TERMINI-TERMINI 199?

bambini , andiamo a vedere la F.i.a.t, in treno…

occhi sgranati , molti di noi non l’hanno neanche visto un treno ancora.

i nostri carcerieri . occhi di fata buona prima della metamorfosi.

le lingue però sono già veleno.

la  F.i.a.t  di  Termini Imerese, tra fabbriche abbandonate come ragni di cemento giganteschi come i mostri dei cartoni animati giapponesi che potevamo vedere solo il sabato.

i nostri carcerieri, lingua di veleno. i padri di famiglia. il lavoro che nobilita e fa liberi.

noi che dobbiamo prendere esempio. diventare come. bravi bambini.

guardate queste macchine che fanno macchine, che però si chiamano automobili.

ma io guardo le facce degli operai che ci guardano e provano pena.

mi parunu piatusi, dice uno.

è sempre la stessa storia, ovunque andiamo, siamo un esercito di bambini vecchissimi, occhi di morte, ginocchia di polvere sbucce. arruffati come cespugni cresciuti come viene viene, se non ce la fa pazienza.

ed uno dei carcerieri. vedete bambini, questi signori lavorano bene, mantengono la famiglia, è un bel lavoro , vi piacerebbe diventare come loro? E’ bella grande la fabbrica, vedete quante macchine che si chiamano automobili in verità…

uno degli operai : sì, chissu è u paradisu…

e tutti gli altri che lo circondano scoppiano a ridere. Una risata sbilenca.

ed io ingenuamente ( giuro! ) : è così il paradiso , e invece l’inferno com’è?

e la risata degli operai diventa più forte, uno mi fa una carezza.

i carcerieri imbarazzati mi guardano storto. Gli altri bambini : Malacà‘ sempre tu…

don Vito s’incazza quando sente che mi chiamano così, siamo tutti figli di Dio, tutti carne buona , tempio dello spirito.

cose così. bugie. lingue di veleno che non dicono l’essenziale.

stazione di Termini Imerese. secondo binario.

è in arrivo sul binario due regionale per Palermo.

ci raggruppano.

è pronto sul binario tre diretto per Roma-Termini.

nel sangue ho qualcosa di meraviglioso che scatta, le gambe tremano. il cuore più scaltro dice.

bum bum bum bum pata bum.

salgo sul treno. quello giusto. Per Me.

il treno parte. sono un bambino ma non così coglione da non capire che alla prima fermata già mi verranno a cercare.

mi accuccio sotto i sedili dentro uno scompartimento a sei. respiro polvere e scarpe per un tempo interminabile.

quando il treno comincia ad impazzire, va avanti e indietro , e non sento più voci, io sguscio fuori.

sono in una enorme scatola di latta e ci ho paura. penso che il treno s’è rotto e l’hanno portato in una fabbrica come la fiat ad aggiustare.

scendo e trovo delle scalette, cunicoli da scalare.

sbocco alla luce che muore del giorno e vedo esplodere il mare. Sono sul traghetto. il cuore dice.

bumbum tum patabumbum tum patatum patatum tatum tatum …all’infinito.

scoppio di luce che muore. laggiù è una fila di case oltre il mare.

è quello il Continente? chiedo ad una signora sorridente.

e lei dice sì.

solo una volta mi becca il controllore , dico che il biglietto ce l’ha mio padre , che è in bagno .

dico “mio papà” con voce ferma.

quando si allontana mi nascondo in bagno per un po’. poi di nuovo sotto i sedili. a cuccia ma all’erta.

Roma-Termini, mi pare una città a due piani.

vago per la città. ho occhi che bevono il mondo.

chiedo: dov’è il colosseo, che ci ammazzavano i cristiani? lo dice sempre don Vito. io ci ho la curiosità.

è notte ormai un’altra volta , dopo quella passata nella polvere, quando lo vedo.

attorno agli archi figure di fantasmi.

io mi siedo su dei gradini . distrutto.

è adesso? ho fame sonno sono zozzo come un cane randagio. e la mia testa pazza non mi aiuta. che cazzo fai ora a Malaca’? mi dico ( in verità fra me e me uso un nome che nessun’altro usa più per chiamarmi, uso il nomignolo con cui mi chiamava mio padre).

vado a pisciare in un angolo.

mi si avvicina un vecchio .

che cazzo vuole?

mi guarda pisciare . io mi scosto un po’. quello esce dalla tasca un pezzo di carta.

il por\no inizia/ adesso

non dice niente. io lo guardo . si avvicina ancora.

io avrei dovuto afferrare i soldi e dargli una testata. come ad un pallone. ne sarei stato capace.

e invece. lascio che mi tocchi. a me fa così schifo che neanche mi viene duro.

me lo fai toccare? chiede quando già ce l’ha in mano da due minuti e se ne viene, lo capisco solo ora , nei pantaloni.

intasco la mai prima marchetta. tredici anni.

un giorno infinito di trentasei ore . torno alla stazione. so cosa devo fare. inutile scappare alla tua gabbia. la gabbia ti verrà dietro. mangio qualcosa. sto cadendo a pezzi.

trovo un binario dove c’è scritto Palermo.

salgo e stavolta mi beccano subito. so cosa mi aspetta al ritorno. mi portano dagli sbirri. per me sono tutti sbirri allora, dai carabbinieri ai vigili alla sicilpol ai carcerieri agli spiono che raccontano se fumo ai carcerieri. sbirri-bambini, questi. ma tutti sbirri.

già mi cercavano da ovunque. Quando torno in carcere don Vito non dice una parola. io capisco che la punizione sarà grossa.

in più lo scherno degli altri perchè mi sono fatto prendere.

un altro carceriere dice : ci hai tradito.

traditore è per me una parola di morte. lui sa come ferire. io non sono traditore.

volevo solo vedere il Continente. io non sono traditore.

dico incazzato.

la maschera, la scelse lei , non io…

Palermo, ieri notte

e non è notte piena ancora, cercato l’angolo discreto, l’incrocio vuoto.

ho messo su una faccia di cane per questa pajacciata,

è la mia maschera. che scelse lei, non io.

la signorina dagli occhiali scuri.

promette futuri, la troja , ogni sera, auguri ed altre menzogne. io sorrido e non le credo, non più .

ormai. Una faccia di cane bastardo . e forse meritavo il cigno.

ma lei scelse per me. la signorina era cieca dalla nascita.

che cazzo stai dicendo malaca’, mi parli solo, stai fuori , che hai preso?

sorrido – ho un taglio squarcio in faccia- alla Grace, parruca rossa sintetica, occhi viola. marchetta facile. mi dice che deve pagare la rata dell’auto , che l’assistenza anziani non le basta a pagarsi l’affitto, che rimpiange anche lei gli anni in cui ha potuto farsi le plastiche…il suo ragazzo ha perso di nuovo il lavoro, ( leggi: l’hanno messo dentro), e adesso io sembro strano , mica l’ascolto, dove cazzo stai , che stai dicendo, vabbè hai preso l’acido? ci vediamo malaca’ quando atterri, mi parli da solo…

parlandomi da solo faccio prove di una recita soppressa, la mia vita, ho sbajato il giorno o l’ora?

forse il teatro.

o forse sono stato un bambino cattivo.

Si ferma un tipo, amuni’ , acchiana…

spezza il filo del mio delirio, spaccami d’ombra,

il porno \ comincia /ora, il porno co|mincia ora, devo/ esorcizzare,o il porno prenderà la parola|

è quello che devo fare, slacciamo le cinture, il porno comincia ora.

fuori di qui, mi ossessiona, e

e cantavamo:

Reggimento di guardia ai confini

coi colori del rosso e dell’oro

in attesa di forti destini

sempre intatto conservi l’alloro…

Avellino, nel mese di dicembre.

primo dicembre, in un foglietto azzurro, la “cartolina”, si annuncia un’ altra piccola trascurabile prigionia.

sono “chiamato a presentarmi entro le 23 di giorno 12 dicembre” in una non meglio specificata caserma di Avellino,

(poi leggerò l’insegna : 231° Reggimento , Caserma Berardi.)

una prigione di passaggio. Tanto ci siamo abituati.

Ne parlo ad un tipo , un maresciallo mio cliente, che mi da’ il nome del tenente colonnello G.

vado a trovarlo.

gli spiego i cazzi miei, mica tutto, però, gli dico che ora che mia madre ha una pensione vivo con lei. Che non ho lavoro, e non me ne danno ; mi dice che c’è una soluzione , che gli spiace che c’ho ‘sti “problemi familiari” , e che potrei fare domanda per partire volontario,V.F.A., pagano, e soprattutto questo ritarderebbe un po’ la partenza. E lui avrebbe il tempo di organizzare affinchè mi trasferiscano nella “sua” caserma. Nel suo ufficio , come una specie di “attendente”. io penso per un istante che questo qui è un padre di famiglia.

ma il maresciallo deve aver parlato troppo. Il colonnello vuole un attendente come quello dei film porno. marchetta non retribuita.

volontario in prigione? suca , bastardo, nella tua prigione, ed hai sborrato gratis, quella volta.colonnello della mia minchia.

parto di leva pochi giorni dopo.

C’era una volta un bambino…

poi vennero angeli neri.

Palermo, ieri notte.

sabato , le grandi carceri del mondo si aprono. La gente in strada finge la gioia. Dimentica la catena.

Urlano il delirio di una vittoria per la città. e non vedete che ai vostri figli gli scoppiano la faccia con cinque colpi di pistola?

pane e circo.

poi passano alla zoo, a vedere noi , marchettari , trans e prostitute. L’oscenità è in loro. non in me.

Io adesso ha la parola.

e il porno è fuori da qui, bastardo il porno è fuori da qui.

siamo animali da circo, per il loro divertimento da sabato sera finito. e inutile.

le sbarre di questo zoo, che tanto ti diverte, credimi, sta imprigionando Te.

– andiamo a trovare Giovanni,

– a quest’ora? come sta?

bene, sta morendo.

così, a secco.

a casa di Giovanni, quartiere Borgo Vecchio.

Giuseppe mi parla piano, Giovanni è nell’altra stanza.

siamo in cucina, sta preparando una pasta.

avete mangiato, piccio’ ?

dopo, su di una sedia sparigliata accanto al letto sgangherato. il corpo di giovanni. è un olocausto. Il sangue suo è marcio per il bisogno di una parola che neanche lui ha avuto mai diritto a dire.

su di una delle sedie sparigliate accanto al letto chiedo

come siamo, Giuva’, ti senti meglio?

mi sorride come le facce sulle icone delle chiese, da una distanza irraggiungibile , o dal sommo di un calvario.

ti trovo meglio , dice Gianfranco.

e lui sforzandosi : Sto aspettando quello che mi mette un cuscino in faccia.

così. a secco. senza piegare il sorriso.

con occhi cerbiatti, fissi.

non sono io quello che aspetti gli dico, mi spiace.

e allora già so come andrà a finire, in fondo stavamo aspettando solo quel momento.

vabbè malaca’ , allora cuntami ‘na storia,

e allora ti racconto la favola vera, quella nera.

una che provi a spaccare . che ogni parola è come vetro nel sangue.

e allora prendo la parola e ci dico.

c’era una volta un bambino, i bambini non sono nè buoni nè cattivi, viveva in una stanza con tre fratelli e la madre. Il padre era morto.

poi vennero gli angeli neri, ad assisterlo socialmente. se lo portarono via.

e invece bastava che la strega dalle mille cremine , vicina di casa, rinunciasse a due camicette versace all’anno , bastava questo e la madre del bambino avrebbe avuto di che sfamarlo.

ma il bambino non poteva saperlo, pensava che se l’erano portato perchè era stato cattivo. per questo mia madre non mi ha voluto.

e allora il sorriso è sparito. ha stretto il pugno, dio come faceva male, ma ha stretto il pugno e ha cominciato a picchiare duro.

e gli altri bambini della prigione, non lo amavano, avevano paura , lo chiamavano malacarne.

Giovanni mi guarda, finalmente piega il labbro , il suo sorriso è più quello dell’uomo, adesso.

La conosco sta storia malaca’…cuntaminni n’autra…

ed io riprendo la parola , non sarò mai stanco. e dico.

le mie parole siano per te l’eutanasia.