Archivi del mese: ottobre 2003

nero sguardo.

Palermo. ieri.

ingollo intrugli alcolici preparatimi da Caterina, nel suo buco vicino largo Cavalieri di Malta.

il tipo: due occhi bastardi che mi guardano attraverso lo specchio. che cazzo vuole? non mi pare uno che paga. è un coglione di quelli con polo col colletto alzato, uno sbruffone. mi osserva dal riflesso e fa un sorriso di taglio.

dove ti ho visto mai? trangugio . sottomettere il mio sguardo . lo sostengo per tutto il tempo in cui bevo. esco dal baretto asfittico e vado a sedermi sui gradini con il terzo whisky in un bicchiere di plastica. Gianfrancesco sugli scalini rotola tabacco condito . aspiro qualche potente boccata , fumo grigio azzurro in cerchi , e parliamo dei cazzi nostri.

il tipo viene a sedersi accanto. chiede dove possiamo trovare fumo.

Gianfrancesco lo squadra , poi mi lancia un’occhiata chiarissima . e vuoi vedere che sto tipo è un fottutissimo sbirro?

meglio sgombrare , Caterina è già stata dentro per spaccio.

più tardi sul viale. la terza auto che si ferma, la sua faccia , sguardo figo e nero. facciamo un giro?

sto lavorando.

andiamoci a prendere da bere. io sono fuori come la luna, questo fottuto satellite esploso un giorno in cui nessuno stava a guardare. sarà che sono curioso di vedere dove andrà a parare sto coglione o forse che poi il whisky me l’ha messa un po’ di porca voglia di stare ancora al mondo, salgo.

passa da Tantillo, sono le due e mezza. prende da bere e risale in auto. alcol e  bende per le nostre ferite. poi ci fermiamo a bere dietro la pompa di benzina chiusa. dice che non può farsi vedere in giro. racconta un po’ di minchiate , la ragazza che lo ha lasciato ieri l’altro, e lui che pensa: vado a ubbriacarmi ma come dio comanda, e poi gli viene una voglia e vuole andare a puttane , o travestite, infine ha visto me e gli è salita come la curiosità. le solite cazzate dei repressi . ti sembro una curiosità?

abbassa il sedile dell’auto.

il porno comincia ora.

fuori di qui.

quattro litri, bevi non ti farà male.

e si stende nella vasca. deglutisco.

Roma. coltivare assassini.

quarantacinquenne insospettabile. alopecia cotonata, occhialini con montatura pesante e trasparente che toglie subito e poggia sulla scrivania.

Esce dal Warner la prima volta. Sto al tavolo del mcdonald a intingere pezzi di pollo transessuale nel curry, come alternativa al suicidio. lui mi guarda e si pianta lì sotto le impalcature . ero militare allora.

cliente fisso. ora poggia gli occhialini sulla scrivania sgangherata e liscia i capelli superstiti. con mani chirurgiche fa scriminature immaginarie.

te devo domandà ‘na cosa Malacà.

io deglutisco. c’è sempre un Oltre putrefatto, dietro un ti devo chiedere una cosa. le anime si accendono. Sigarette dure senza filtro. il suo fantasma, Io , un ruolo che non mi si addice incluso nel prezzo. mi parla in romanesco per essere più volgare, io calco l’accento e mischio al siciliano . lui si eccita. l’animo umano è a cielo aperto. come le fogne.

guardami , sono dio.

hai mai pisciato in bocca a qualcuno?

è più facile mi chieda se c’è una cosa che non ho fatto.

che vuoi fatto? non perdiamo tempo. uso le parole di tutti. come se il tempo fosse un oggetto da perdere guadagnare mettere in tasca, sfilare dal polso dei clienti . Avrei dovuto dire: apri lo sfiato della cloaca.

al quinto bicchiere di Selg-esse vomito l’anima sul suo petto. quelli come me in vece dell’anima vomitano i resti del pranzo , se hanno mangiato. Depurare le viscere, dice. Vuole acqua di intestini cristallini. Io comincio a pensare che lo stanno ancora cercando , alla neuro da cui è scappato. ad ogni mio no ha raddoppiato la cifra pattuita. ha prelevato il massimo giornaliero ed è arrivato con la pozione lustra budella a prelevarmi in Piazza Repubblica per portarmi da lui.

nausea l’odore di mandarino della lavanda. leggo le istruzioni.

Non ti farà male, fidati sono un medico. io leggo le controindicazioni e aspetto che faccia effetto. lui si stende nella vasca. bevi ancora, ancora dài. devi berne quattro litri per depurare.  erano i patti, altrimenti mica ti pago.

il suo cervello è un cadavere. non mi stupirei fosse patologo, primario di clinica privata o forse solo un comune assassino psicopatico. al settimo bicchiere vomito sul suo petto. poi la lavanda purgante fa effetto, mi pongo dentro la vasca e lo smerdo subito. lui si dimena fra i liquami, la mano sul cazzo va più veloce. non sono pure abbastanza dice, devono essere come l’acqua! bevi ancora, ti regalo il mio orologio. se lo fai, nun te dò gnente sennò. viscere pure di olocausto, pronte all’epatoscopia.  lo afferro per la gola. lui apre la bocca ma non si oppone affatto. muove solo la mano più veloce sul suo cazzo. ed io capisco solo che sta COLTIVANDO IL SUO ASSASSINO.

è un’altra volta notte , sul limitare di due mondi inconciliabili, Lui comincia a raccontare la vera storia della sub-donna.

Il ritorno della Donna sub.

 11.1

(zop la falsificò)

Lungo la banchina del porto cammino attraverso le rovine di una notte circolare, nell’infinita attesa disperata. Non ricordo più che cosa stia aspettando, mentre i frammenti di un’alba sbalordita chiariscono il cielo sopra le onde meste della cala.

Un volto improvviso dalle acque. Che cosa spero? Sento un moto nell’animo e la vedo, che lenta emerge. E’ Venere, oppure io sono folle? Il viso di donna è tramato di luce grigia e gocce argentee, ed io ricordo il tempo sbiadito come un miraggio in cui amavo i suoi contorni pallidi , e quegli occhi di gitana. Se solo io ricordassi il nome tuo, potrei cercarti dentro il labirinto di flutti, potrei sondare l’Averno e riscattarti col canto , mia Arianna, mia Euridice, se solo ricordassi il Tuo nome. Visione. Sono passati lustri decenni o Ere? Io ora sento solo la Tua voce, distinta e flautata , volto di chimera, il collo ed i seni nudi , avvolti nel gelido flutto. Le onde che muovono calme come un branco di lupe azzurre e stanche dopo la caccia.

I tuoi capelli serici, neri e lunghissimi come l’inferno, muovono al vento come serpi vive , o medusa. Le tue labbra appena schiuse si muovono appena, o forse tremano, ma il canto di sirena mi raggiunge, mi tormenta , mi delizia, mi incanta e crocifigge. Il tuo occhio è di pietra , le tue dita tramano le acque, rubano acqua alle clessidre, tu torni da abissi marini, forse ctoni, Trasfigurata.

Non sono che un povero pazzo, ormai, invecchiando divenni un po’ più saggio e un po’ più folle. Perchè non ricordo il tuo nome,l o Monnalisa? Occhi di brace che cova, perchè la tua bocca tace? Non oso accostarmi oltre, tu emersa alla falsa vita sino ai fianchi , gli occhi di un uomo non ardiscono tanto. Chissà se le acque attorno ai tuoi fianchi non celino misteri non destinati agli uomini . E’ un corpo di sirena nascosto tra i flutti? O forse di un divino ermafrodita?

Nell’attimo in cui il sole spicco’ il suo volo arancio esplodendo all’orizzonte, l’ immagine proibita si dissolse.

Tu sei sparita.

tu non conosci l’odio. ancora.

Palermo. Svegliarsi d’odio.

e tornerò indietro , bastardo , col pugnale caldo del tuo lurido sangue. minchia, sarà un bel giorno quello! Tornerò indietro per raschiare il nome tuo dalla lapide. bruciare la tomba. per stracciare tutte le carte che hai firmato, e le tue foto, fino a quella del giorno del battesimo. e le radiografie del tuo cadavere, e distruggere tutte le cose che hai infettato al tocco, con mani traditrici, cancellare il ricordo che serbano di te. cassarti dagli archivi dello Stato, dall’anagrafe e dai libri della chiesa. e infine dal disegno del creato, se ce n’è uno.  fare sparire tutto ciò che sei stato . Minchia sì che sarà un giorno di gloria, quello! quando sparirai anche dal ricordo degli uomini e delle cose. perchè c’è una cosa peggiore della morte, sappilo e trema.

C’E’ UNA COSA PEGGIORE DELLA MORTE, di come te la immagini: ed è esattamente  questa mia mano che ti getta nel nulla e torna indietro a darti la caccia nel passato Per Cancellare Sino All’Ultima Traccia Della Tua Esistenza.

raccontami per ricordarti.

Gent, il giorno dopo.

città tramata di canali, austera come un ossario , fiamminga e umida e nera.

scambio parole in francese sul divano anni settanta di Barth, l’avvocato che ospita Carlo. lui  fuma e segue l’eco dei suoi misteri, forse di un colpo di pistola.

vedi come vivo adesso? cosa rimane? volevo spaccare il mondo, ed ora i cocci sono miei. a 25 anni sei finito, oppure diventi come loro, quella parola, malacà, la dicevi sempre.

integrato.

ecco, tu sei bravo con le parole, ti ricordi tutte le cazzate che mi raccontavi e pure la vita nostra di merda mi pareva più bella a sentirtela dire, era come vederla nei film. Malacarne, ricordati di raccontarmi.

mi stai facendo paura, che cazzo c’hai , andiamo via domani da qui, da qualche altra parte.

sono vecchio, mi dice,

porcodio hai 24 anni!

fra due mesi 25 , e comunque nessun posto è per me, ora.

e allora?

allora io resto .

Tre mesi dopo parlo al telefono con Barth. Singhiozza ed il suo francese è aspro e arcano.

atroce come un mistero.

Promettimi di raccontarmi. ricordati.

Per noi, diceva sempre, non scende mai la manna.

Aveva occhi castani ed intensi. Prima portava capelli ingellati all’indietro, poi gli caddero.

non aveva mai perso l’accento napoletano, ecco un particolare molto narrativo.

Carlo era stato regina delle notti parigine, cantava

j’suis la reine du comptoir,

la reine du trottoir

non ricordo più di chi fosse la canzone. ricordo solo la piega che facevano le sue labbra.

baciare la canna di una pistola –

per noi non scende mai la manna, diceva – nel giorno del suo ultimo compleanno.

ti spedisco la tua storia, figlio di puttana. la tua fottutissima storia.

come promesso.

infine siamo immersi in un alone . la luce tergiversa avvolgendo le strade di Antwerpen.

Anversa. Notte fonda

Carlo mi porta al Red and Blu, a pensarci adesso mi sembra simile all’Exit di Amsterdam. è tutto liquido il cielo stanotte, e scoliamo birre già alla stazione, corrette col gin che lui ha in un flaconcino di metallo , come nei film.

l’ha preso a Madrid o a Barcellona, non ricorda.

ricordati di raccontarmi, mi ripete. ed io sento un silenzio di squarci dietro le sue parole.

Al Red and Blu mi tesserano , tolgo il mio paletot ideale, ed entro in questo trip senza più scampo.

Carlo che spaccia pasticche sospette ai ragazzi più belli che abbia mai visto in europa occidentale, sembrano tutti felici, o le droghe che arrivano qui da Amsterdam sono buone, non so. Il barista mesce intrugli costosissimi che ingollo sul soppalco, mentre sotto sballa la ciurma dei froci happy and pride , quelli col marchio giusto.

più tardi due incredibili Hulk stanno trascinando fuori Carlo, mi accorgo, e lo raggiungo fuori sgusciando fra la ressa.

nel fottuto freddo di Anversa. Riprendo il paletot e ricominciamo , lui non parla, non c’è da dire nulla, è andata male e stop. e poi sono troppo finito. traforiamo locali in sequela, vomito nella vasca per il pissing di una dark room.

forse sono già altrove. non siamo neanche più ad Anversa, non siamo ad Antwerpen, non siamo ancora a Gent, a Gand , città doppie , bifronte.

ricordati di raccontarmi.

Brusselles, ma belle.

Carlo seduto di fronte. Tavolo di Pizza Hut. Bruxelles . è la S.Patrick anche qui, accanto ad un Irish pub dove stuoli di Erasmus dipinti di verde-arancio festeggiano la cacciata dei serpenti dalla loro terra. e i loro anni privilegiati. Al Maarkt, poi davanti il tempio della Borsa, dietro, nei locali ormai sempre gli stessi anche senza esserci mai entrato.

Carlo occhi gonfi davanti ad una pizza all’ananas.

Carlo sbalestrato fuori dai fratelli suoi napoletani. e non gliene importa.

Carlo che “io per loro sono morto”, sempre le stesse inutili parole delle stesse fottutissime storie.

solo che il dolore ogni volta è uno diverso.

non so che tempo faccia nel suo petto.

forse diluvia.

sguardo oltre le mie spalle , troppo oltre . sopra un treno diretto ad Anversa , notturno e fluido di luci. un paio di ore d’angoscia.

a 25 anni sei finito , vedi , ho perso i miei capelli, fra un po’ non mi vorrà nessuno, meglio le trans, almeno lavorano di più. Parola di Carlo.

ha cominciato a Parigi , è lì che ci siamo incontrati, ed era due anni o due vite fa?

siamo sopra un treno ad alta velocità. il controllore parla fiammingo e storce il labbro al nostro francese.

Carlo che odia il nederlandese ed a Gand non parla con nessuno. Gent, dove abita da un tipo che fa l’avvocato, uno buono, mi dice, forse lo ama. ride.

si sente un ombrello dimenticato al bar di una stazione. nessuno verrà mai a riprenderselo.

Ripeto: nessuno verrà mai a riprenderci.

lasciamo il cielo verdasto-nero di Bruxelles la tetra ed approdiamo al tempio della stazione di Anversa.

la luce è un fluido grigio-azzurro e giallo miele, e

: la storia della …

:

la storia della donna sub
[zop la iniziò…]

(pars V)

Lui la guardava spesso, a volte di nascosto, la sera, al tramonto.

Si sedeva sugli scogli fingendo di ammirare il Sole che scompare all’orizzonte dipingendo sul mare le sue strisce tremule di luce.

Ma intanto, in controluce, la osservava mentre lentamente indossava la maschera, si concentrava e respirava profondamente, per iperventilare i polmoni.
Quando faceva i suoi esercizi sembrava che si dilatasse come un pallone.
Quando inspirava si gonfiava a tal punto che certe volte copriva il Sole e improvvisamente gettava in ombra tutta la spiaggia. Poi espirava e si sgonfiava tornando esile e quasi invisibile dietro la luce del Sole al tramonto.

Infine la donna sub si tuffava con grazia dagli scogli, senza uno schizzo, quasi senza rumore. E si immergeva, approfittando di un onda.


Lui la ammirava e aspettava, con il cuore in gola, che riemergesse.
A volte aspettava a lungo, così a lungo che qualche volta si scoraggiava e pensava che non sarebbe più riemersa. Ma alla fine Lei riemergeva sempre, senza fare rumore, trasportata da un onda che come una mano la adagiava, con delicatezza, sugli scogli.

Lui si chiedeva come potesse rimanere così tanto tempo sott’acqua, senza respirare.

Lei, invece, avvolta dal mare, si chiedeva come avesse potuto rimanere tanto tempo fuori dall’acqua senza soffrire, e come avrebbe fatto ad uscire dall’acqua, a indossare i vestiti e a camminare asciutta tra la calca dei sobborghi egiziani.

I due vivevano mondi differenti e si potevano incontrare soltanto sulla battigia, là dove il mare, la terra e il cielo si incontrano.

Questa è la storia di Lui e di Lei, che era nientepopodimenoché la donna sub.
I due erano destinati a non incontrarsi mai più.

FINE

Qualcuno tuttavia racconta il contrario.

La storia fu raccontata al Malacarne sul limitare di due mondi inconciliabili.

allora lui comincia a raccontare.

Palermo. parola dello Zoppo.

quando la luce attenua nei viali . sto stringendo le fibbie degli anfibi per attraversare le pozzanghere.

oso parole celesti solo nel sogno.

al primo giro d’auto nella notte. ormai la luce è falba e artificiale. oscura le stelle e i pianeti e gli orizzonti.

si ferma l’auto dello Zoppo. io la riconosco dal rumore. Non faccio in tempo a chiudere lo sportello che già comincia a raccontare. é sempre così. non cerca sesso. sta solo inseguendo una sua storia. forse un fantasma. o forse un delitto.

me l’avrà raccontata già una ventina di volte. la voce incessante. io fisso il cambio automatico della macchina ed immagino la sua gamba artificiale. un piede caprino. occhi che portano luce o tramonto? cercano una vittima, forse un carnefice. forse ascolto.

così viviamo in mondi inconciliabili, dice, e poi ricomincia a raccontare:

una storia che non può finire , come il mare:

così io vivo immerso dentro un pozzo. ed ho le nocche in sangue , e il palmo delle mani. i troppi pugni dati alla parete circolare. non posso spaccare la roccia. e la mia voce è morta urlando. così io vivo immerso dentro un pozzo. non posso fare breccia. nè scappare. mi sono arrampicato inutilmente , ed ora ho i piedi in sangue. guardo in alto se c’è luce. alzo la testa se è notte, sprofondare. sfondare . sprofondare.

Palermo, sempre.

è palazzo di stelle nascoste la notte. nero pesto dentro il petto. un cielo dipinto, di cartapesta. ed ho troppa aria nei polmoni, potrei gonfiarmi ancora e ancora aerostatico.

fino a sfondare il cielo .

ma ho una ferita nel costato.

porto il lutto per la luna.

io sono l’angelo della disperazione.

, forse miragi.

Palermo. la notte in cui la luce.

allora viviamo immersi in un pozzo.

Alice mangiò il fungo e fu felice. ci cerchiamo nel fluido nero del black out, mentre la domenica è iniziata ormai da ore.

e tu lecchi il fondo del barattolo del tuo sabato sera finito e ti tiri dietro le sbarre della gabbia.

senti scattare la serratura e sorridi.

allora Nico mi afferra un braccio e dice . guarda come sono belle, Malacà , tu lo sai cosa sono le stelle?

le auto impazziscono in giostra.

amuni’ andiamo a mangiare qualcosa, chè qua ci mettono sotto.

Gianfrancesco è accanto al motore di Nico, saliamo in tre e scivoliamo nella notte, io non voglio più atterrare, voglio fondermi al vento nerissimo sulle strade di una Palermo oscurata.

coprifuoco. forse è davvero l’inferno.

ci fermiamo alla rosticceria del Fuso Orario, Nico è l’unico che ha fatto una marchetta oggi, prima del black out.

offre a me e Gianfrancesco. Poi fumiamo le mie ultime sigarette, non ho un centesimo in tasca.

che importa , anche oggi ho mangiato. che vadano in fumo gli inganni. voglio morire al giorno stanotte.

e rinascere ancora domani. nascere aurora

staglia|rmi contro/un cielo= verticale ”spararmi,dal|buio)di questa valle.

Gianfrancesco sorride imbarazzato aspirando la sigaretta che gli ho offerto. lui non ha niente da offrire.

mostra le sue mani vuote.

Il Miracolo delle sue mani vuote.

saliamo sulla moto . spartiamo le acque di pozzanghere.

da piccolo , ricordo, è da lì che bevevo il cielo.

e al fondo della notte esplosero le stelle.

Palermo. nel giorno del black out.

sabato, si aprono le carceri del mondo, c’è un’aria di morte in transito.

il cuore non batte o non lo sento.

Tu esci a mangiare cogli amici. apri le sbarre della gabbia e sorridi.

stiamo prendendo posto all’incrocio, la luce dei lampioni si schernisce.

non sono che un misero fuoco.

invece mente .

una scia d’auto. Si ferma una nissan stracolma, delle puttane che ridono dentro. il guidatore e il suo compare chiamano.

vai a lasciare le troie e poi torna, bastardo.

quello accenna a scendere, vuol fare il maschio, le troie dietro lo acciuffano, non aspettava altro.

si aprono le carceri del mondo, è sempre così di sabato sera. TU lecchi la ciotola e sorridi, lecchi le sbarre.

buio. è nero attorno, e sono cieco. le auto abbagliano, l’inferno stanotte è piovuto dal cielo.

carosello d’auto che si dirada, le sirene cantano l’allarme, tutti i negozi lampeggiano e stridono, le auto sbandano sfrecciando a sfiorarmi i piedi.

è allora che al buio noi ci cerchiamo, come bestie che fiutano la notte.

Nico e Gianfrancesco – io non li chiamo – come ombre vorticose si stagliamo più scuri del buio. così che ci riconosciamo.

siamo variazioni di nero.ingi\rum imus noc/te.

e allora io alzo la faccia verso il cielo, ed ora per la prima volta io veramente Le vedo.

Nico mi afferra un braccio.

minchia Malacà, guarda come sono belle , Malacà, ma tu lo sai cosa sono le stelle?

stiamo urlando nella notte vera, quando la luce è morta sui viali, tramando sortilegi forse stragi. forse siamo angeli neri, spogli

e senza ali.

essenziali.

e aspettiamo presagi