Archivi del mese: novembre 2003

devi fare la fine della Nancy!

Palermo. Parola di Trans.

Francesca appare sempre così. in equilibrio instabile sopra tacchi isterici. lo sguardo i capelli lisci serici dicono:

a me gli occhi a me gli occhi.

ondeggia il culo e sorride. la troia. è trafelata. ha corso forse per scampare alla pioggia poco fa . ora ha smesso.

hai lavorato?

neanche un chiodo. ma ieri ho fatto un massacro.

a chi spennasti?

uno che l’ha voluta. e diceva: però non ce lo dire a nessuno.

una si fa le plastiche e poi vogliono la minchia. non c’è più mondo. sospira.

e poi che emicrania!

per giunta c’aveva emicrania?

sì piccolo così. ride. e mostra il mignolo.

motoretta. sgomma sull’asfalto bagnato. frena.

ci si piazza davanti la Gioachina. poggia lo scooter al muro e smadonna.

a te cercavo Francesca t’hanno a scannari. sei un frocio!

fra travestiti darsi del frocio è la peggiore ingiuria, richiama abissi d’infanzie bastonate, derise, il verme latente nella farfalla.

Gioachiana strafatta smadonna erutta orribile dalla bocca sdentata.

Brutta non è la parola . Ma è la prima che viene in mente. Brutta come l’asfissia. Come soffocare.

Occhi che esorbitano. lingua nera. alito di acido. aglio ms dure e birra. un incubo insonne.

è brilla e vacilla su tacchi dieci. ha fasciato di nero petrolio strati di lardo .

mi futtisti u clienti! e facesti gratis. lu sacciu.

Francesca si schermisce. Ma quando mai , mi pagò. ti pare che sono come te che fai tutti i prezzi?

Giochina si slancia per afferrarla. la blocco.

fatti i cazzi tuoi, frocio, so’ cose di travestite queste, che ci trasi tu.

è la mia piazza questa, gli dico , araciu chi paroli ca ti scannu.

già stai parlando troppo assai. Gioachina.

la chiamo così per spregio, col suo nome da maschio.

mi chiamo Selen , mi corregge.

era il mio cliente, ricomincia, con bocca schiumante, voleva fare gratis, mi ha detto che non ci aveva soldi appresso, c’ho pure visto il portafogli e ci dissi va arritira. e lui parte e poi vedo che si imbarca la Francesca.

in effetti Francesca mi ha detto di non aver battuto chiodo, quindi è possibile sia salita gratis. ma la Gioachina mi sta sul cazzo, quindi non le dò ragione.

si lancia per afferrare la Francesca, ma quella si scansa e lei rovina per terra.

scoppiamo a ridere.

Gioachina è furiosa. sento uno schianto. ha trovato una bottiglia. brandisce il collo smerigliato. e cerca di rialzarsi.

devi fare la fine della Nancy! urla all’apice della rabbia.

Dalla frase capisco che ci scappa il morto.

Ma da Piazza Croci sbuca in via G. Daita la volante.

porcoddio la polizia. il più fesso qui ha tre precedenti . filare .

Scivolo per via Ricasoli, in giù. Francesca sale in via Libertà.

La Giochina imbriaca raggiunge a quattro zampe la motoretta , ma non so se ce la fa a scappare. mi sa che la prendono, stravolta com’è , speriamo la chiudano.

fare la fine della Nancy. porcoddio mai sentito peggior augurio fra le trans.

Bastonata le spaccarono tre costole, il bastone poi le lacerò lo sfintere.

Un cacciavite sfondò il ginocchio da parte a parte. Non so perchè lo fecero. forse la piantarono al suolo con quello.

e le diedero fuoco.

viva.

io mica so froscio

Roma. la notte dei morti. (L’altra verità)

In pi 

Piazza dei cinquecento. Devo fare quattrini coi frosci. Io mica ce volevo venì la pirma volta. giorni fa.

La prima volta facevo finta di dormire, cioè ce provavo. In macchina fuori dal cinema. e un froscio mi ha toccato di striscio.

se strusciava via, i miei amici ridevano , st’infami, chè ce l’avevano detto loro a quello di strusciarsi. che mi toccava le palle e loro sti ruffiani mi volevano instradare alle marchette.

poi ci ho capito il fatto delle marchette e me so detto: e che te frega.

quella volta gli ho detto annatevene chè c’ho sonno. anvedi sto zozzone.

mica so froscio io.

mentre che sono al bare e prendo il tè, che te ridi, bevo il tè io. Salvatore mi dice che c’è un froscio che ha invitato Claudio Seminara, me pare, ma nun so certo. Ma poi ha cambiato idea. e vediamo se ce posso salì io.

esco dal bare , la macchina si muove lenta, supera la svolta e rallenta. si ferma il tipo fa segno di avvicinarmi.

  Andiamo a fare un giro che poi ti regalo 20.000 lire. mica l’ho mai visto questo qui. Me pare che però l’artri lo conoscono

 Rientro al bare chè questo mi porta a mangiare al ristorante e poi ad ostia ed io devo prendermi le chiavi che ce l’ha l’amico mio.  Li artri mi guardano strano. chè questo ci ha i soldi e loro stanno tutti a rosicà specie il Claudio che ci stava a ndando e poi non l’ha voluto.

Che vai, con quello del GT? Stai attento che te la mette pure in culo, quello, che è attivo e passivo.

mi frega un cazzo lo metto a posto io se ce sta a provà , io non so froscio.

Come rosicano gli altri. pare che me vogliono ammazzà.

 31.10.1975

Proprio perché è festa. E per protesta voglio morire

di umiliazione. Voglio che mi trovino morto

col sesso fuori, coi calzoni macchiati di seme bianco.

Palermo. L’altra sera . (Tutte le strade portano ad Ostia ).

accetto l’invito – il cliente un’età impossibile fra i 35 e 50 , occhiali fumè – perchè il mio frigo è vuoto. trattoria in cui lui è conosciuto. tengono aperto ormai solo per noi , mi pare.

ho un déjà vu.

poi mi riduco allo straccio bisunto del suo fantasma sessuale. ho un canovaccio da seguire in questo gioco delle parti.

divoro tutto di corsa , anche se so che tradisce il bambino cresciuto in istituto.

ingurgito per paura che si riprendano il piatto.

in fretta per timore che la cosa ti sia stata data per sbaglio da uno Sconosciuto e che la rivoglia indietro.

assolvimi. oppure cancellami.

beve vino , io acqua : hai fretta? non ti assicuta nuddu. sbotta dal momento che io non alzo la testa dal piatto. me ne fotto della dignità. del contegno. io non ho dignità.

se la dignità è la sua cravatta missoni o il rolex taroccato.

credimi.

ed allora, mi dice, che vuoi fare da grande? ridacchia. sai usare il computer?

organizza i corsi regionali un amico suo. mica devo saper fare chissà chè. poi magari un call center. un part time.

un coccodè? chiedo.

ride. per iniziare, e poi sei più libero.

senza un cazzo di niente , sfruttato per benino, così ti riempi meglio il culo, tu e quelli come te.

Indietreggia di scatto, sulla sedia, per un istante credo capotti . riprende l’equilibrio. sgrana gli occhi.

si guarda intorno. nessun cameriere in vista. il locale è vuoto. tengono aperto solo per noi. cioè per lui . a me avrebbero dato un calcio in culo e fila. poi si rassetta. riprende la sua dignità. cioè si sistema il rolex sul polsino.

non apre più bocca. pensavo si sarebbe alzato e buonasera. meglio così . finisco di pulire il piatto. più veloce. perchè è chiaro ormai che tutto questo non era destinato a me.

solo il calice di vino era per me. per questo lo allontano. ma tanto , non lo ignoro, è inevitabile.

tutte le strade vi portano sempre.

andiamo a Mondello al suo villino. inserisce una videocassetta nel registratore, la stessa dell’altra volta. chissà che adesso non scorga una trama in questo porno.

mette su pure un disco da collezione , li tiene nella villa perchè tanto ha tempo di ascoltarli solo quando è in ferie.

lavoro 12 ore al giorno , io, come credi che me le sia fatte ste cose?

sorrido. il mondo ingombro di materia è privo di essenza. Io ne esco fuori. sono già troppo distante da qui.

apre una bottiglia di spumante, mi porge un bicchiere di plastica .

allora, risolviamo prima la questione, insomma.

non dice la parola soldi. esce il portafogli e mi porge l’esatta metà dell’altra volta.

non erano questi i patti.

non ho altri contanti , e poi ti ho invitato a cena.

il piacere è tutto tuo. dovrei fracassarti la bottiglia di spumante in testa. decurtala dalla marchetta.

e rovistare fra le tue cianfrusaglie. questo il mio canovaccio. e scappare come un ragazzo rumeno che ha la tua stessa fede fanatica nelle cose. e vendere la refurtiva, per comprare altri oggetti, e ricominciare , all’infinito. credere alla tua stessa religione.

invece fottiti. dove sto adesso tu non arrivi.

verrà il tuo assassino, non temere, e vedrà coi tuoi stessi occhi.

verrà ed avrà i tuoi occhi.

non sono io il tuo specchio di tramonti. io sono già troppo distante.

stai allevando il tuo assassino. penso a voce alta.

strabuzza nuovamente gli occhi . forse ha paura. , mi crede pazzo.

ed ha ragione. mi metto a ridere e lui si tranquilla. oppure sta recitando il suo martirio?

mi concentro sulle immagini del film .

lasciamo stare, oggi facciamo finta che siamo amici.

però me la suchi solo. tieniti i soldi.

adesso ha la conferma che sono pazzo, immagino.

eccomi dentro il porno. perchè il porno comincia ora.

Un militare su di una jeep costeggia un ruscello e arresta il veicolo. Si avvicina per bere, fa gesti e muove la bocca come in un film espressionista. vede un ragazzo che fa il bagno, la divisa di quest’ultimo è sulla riva ed è diversa da quella del primo. si guardano ed il militare vestito sembra arrabbiato , muove le labbra, ma non c’è sonoro.

Poi quello che faceva il bagno esce dall’acqua con le mani alzate perchè il primo gli punta la pistola. e lo costringe a succhiargliela.

scopro che il porno ha una sua trama essenziale.

sborriamo.

io ed il tipo sullo schermo.

è la tua ragazza questa qui? chiedo appena mi si accosta.

tende una mano come attraverso una trincea. dammela che la metto via.

Guardie e Ladri. (Limbo)

gli restituisco la foto incorniciata d’argento annerito. la seppellisce dentro un cassetto.

lei c’ha le scuole , frequenta scienze politiche , si laurea a febbraio, è per questo che lo ha mollato. non era più abbastanza per lei.

si vuole cercare un avvocato ora.

perchè, chiedo, cosa ha combinato?

ridiamo.

per maritarselo, conferma, ora lei sta al paese, a casa, tanto non segue più corsi , e lui lascia l’appartamento, torna a dormire in caserma. che la paga a fare sta casa ora?

tutte uguali ste storie. eppure, devo registrare. testimoniare il passaggio. prima che venga notte e ingorghi anche l’aurora.

hai messo firma? chiedendo mi mordo la lingua. Faccia -da -sbirro nella foto è in divisa. mascherato da Potere.

si è infilato le mutande e la canotta, è pudico il ragazzo. ha avuto una brava contadina di madre. polsi buoni a raccogliere olive. è tempo ora. dita di madre buone a ricamare corredi a figlie meste, ed a chiudere gli occhi dei morti al culmine delle agonie.

io mi canto sul suo corpo, simile al mio, un porcodio di tramonti. corpi buoni a scappare ed inseguire. guardie e ladri.

speculari.

mi ha visto in questura per quella storia del motorino, confessa, ed ha chiesto informazioni.

finisco di vestirmi, vado alla porta. mi blocca. lo spingo via. fottiti, dove vuoi arrivare?

Malacà ti devo parlare, cazzo, ti devo dire na cosa.

e già lo so che c’è sempre un oltre putrefatto che mi aspetta, dietro un “ti devo chiedere una cosa”.

Inghiotto.

tu mi hai fatto qualcosa, tu mi hai MALEDETTO.

questa minchiata se l’è copiata da qualche film, o è impazzito. o le due.

lo spingo via a due mani fa tre passi passi indietro , ma si slancia ed è sopra di me, schiacciati contro la porta.

e non so più se ora le braccia respingano o stringano, dove finiscono le sue dove le mie.

scivoliamo lenti lungo la porta. per terra.

t’ammazzo (erano le sue labbra o le mie?)

a che punto è la notte?

ecco l’abisso morbido.

comincia a singhiozzare sul mio petto.

il diavolo sei? tu mi hai maledetto.

faccia-da-sbirro, un ragazzetto scappato alle macerie.

il cazzo duro preme sugli addominali. il porno comincia ora. ma non è fatto per occhi distratti.

fuori di qui. è puro.

siamo puri all’Inferno

a s t r a t t i

strette le fibbie agli anfibi. attraverso pozzanghere angeliche.

su strade cigliate di fango. oso una lingua abissale.

io vado verso oltre.

e sventro un cielo che vomita sangue.

singhiozza e crepa anche l’ultimo tramonto.

dio bastardo io ardo verticale e non guarisco

e non guarisco da un male originario

indefinito.

lecco il secreto della ferita con lingue piagate di sale

sgrano un rosario di lune crocifisse. il prossimo mio passo è nella luce

oltre l’orizzonte. mai il presente.

il prossimo mio passo è

e sono petrolio truce in vena e sanguinante.

scopro la mia piaga con orrore.

sono da solo ad una veglia funebre infinita e purulenta.

nessuno copre lo specchio impietoso?

in questa stanza fuori dalla vita

ci sono due cadaveri. uno è il mio.

l’altro si chiamava Dio.

e cantavamo:

fare il soldato di fanteria / o mamma mia male si sta

male si sta per tanti motivi / nonni cattivi da sopportà

nonni cattivi zaini pesanti / sempre più avanti bisogna andà

sempre più avanti sempre in colonna

porca madonna

mai finirà.

Policlinico militare di Roma. Celio.

(Il magazzino infinito)

sveglia sù, forza sù, abbaia il sergente di giornata.

una rete nera che cola unto dalle mattonelle schizzate di schiuma da barba . strisce marrone e rosse . cessi alla turca. entra nei miei sogni .

Villa Fonseca, caserma alloggio dei soldati del Celio. Schiavi soldati di pace.

gli occhi si spalancano vinaccio mentre la voce attraversa il cupo corridoio odore di corpi sporchi mutande chiuse negli armadietti da un mese.

siamo bestie che aspettano licenza tre più due ogni quaranta giorni. noi siciliani. due giorni sono di viaggio. perchè lo stato rimborsa solo il treno.

muri laccati di blu fino ad un terzo. impronte di anfibio sul tetto.

forza sù. sveglia.

e sul pavimento le prove delle schiumate e dei cavettoni della notte che i piantoni fra poco occulteranno. pezzi di carta bruciata.

il sergente di giornata scuote gli armadietti.

porcoddio alzatevi, la mia cameretta non ha dormito stanotte, festino di nonni. .

cameretta non camerata. da questo distingui i fascisti dagli altri.

i cessi rituali di abluzioni. tutti con la tuta militare verde. così vogliono i nonni. ci sono regole non scritte. anche noi comanderemo. anch’io. ferro e fronte. comando. iniettato in vena.

verdi come vermi. la mattonelle bianche screziate di sporco sono oscene come un incubo adolescente.

solo qualche anziano con la t-shirt bianca. bisogna ammanzirli, marcano male , troppo ribelli commenta un congedante alzandomi la cerniera della tuta sino al collo.

minacce. me le sbatto sulla minchia.

inutile opporsi, lo faremo anche noi. gerarchia comando obbedienza. ferro e fronte. fuoco in vena.

il silenzio delle spine, delle schegge è ossessivo.

in fila per la colazione a mensa.

poi inquadrarsi per l’appello.

12° ska da una parte, quelli senza la stella coronata della Sanità. senza incarico.

il maggiore J. ci dice che dobbiamo spostare gli armadi dal magazzino. accanto alla mensa. cominciamo a trascinare roba. computer rotti mobili in disuso da un magazzino all’altro accanto, saliamo sugli armadi in bilico sulle macerie.

uno che sta lì sopra come una vedetta inutile scivola e lo portano a fare da cavia al Celio.

così i chirurghi si fanno la mano.

ci sono favole raccontate dai nonni sui soldati di Villa Fonseca usati come cavie al Celio.

trasciniamo a mano o con una corriola primitiva scassata la roba dal magazzino più vicino alla mensa a quello più lontano, ed io comincio a intuire cosa abbia visto la vedetta scivolata dalla piramide di armadietti scrivanie accastellate. la puzza di piscio di gatto e merde di topi ovunque. solo una schiera di armadi separa dalla parte di magazzino dove vengono poggiati i contenitori della roba per la mensa.

il magazzino è interminabile, forse infinito. questo capisco di colpo. che tutte le stanze comunicano e continuando ad addentrarci per caricare mobili finiremo per spostare la roba che abbiamo trascinato nell’ultima stanza.

lo dico al tenente che soprintende ai lavori, questo è un gioco, penso, vogliono vedere quanto tempo impieghiamo a capirlo.

esegui gli ordini mi risponde senza perplessità.

eseguire.

è un’arancia che lenta marcisce.

infine si svuota, la Luna.

Palermo. Eclissi Totale.

sabato ancora, schiudere le gabbie. Sorridi , devi essere felice.

l’altra faccia, quella Nera della storia.

Nella macchina dello sconosciuto. Odore di vecchie scarpe , marce d’acqua e sudore. Abitacolo di condensa sui vetri .

fra le mucose della sua bocca non godo. Il cazzo si erge duro fra le sue labbra ma non lo sento neppure. Scisso.

fisso invece una goccia che esplode sul cristallo del parabrezza, in un reticolo di affluenti. Scende sul piano inclinato, si riforma più grande più in basso inesorabile.

respiro. più forte silenzio. solo|ch\ecom\incia\qu\e\lla\vocen\ella\testa ||| Respiro.

ragnatela di fili d’acqua, la goccia si riforma sul vetro appannato. frantumam’invena|tramami|d’estasidivinascassalacatena spar|am|ialcieloes)plodimiancoraancora(/respiro noli me legere.

goccia in prigione scava la pietra.

sborro nella bocca del cliente. , si ritrae, lo sperma raggiunge il vetro. si mischia alle gocce d’estasi.

che minchia fai t’avevo detto di avvertirmi, sputa sul fazzoletto, incazzato.

afferrare il suo collo e sbattergli la testa sul cruscotto, schiacciargli la guancia sul cristallo: bevilo, tutto, lecca il vetro, lecca la sborra, questo è il mio seme offerto in sacrificio per voi. spegnivocenellatesta(tu6staXoumbambinocattivedora).

lecca la mia sborra, che germogli piogge che scavi pietre nelle viscere.

passo una mano sul vetro, ecco si vede la luna. ora quasi vuota, in eclisse.

come un’arancia marcia verde rosso, una perla di sangue. un graffio di luce residuo nel cielo.

questa luna non era fatta per gli occhi degli uomini.

luna degli abissi.

nella macchina dello Sconosciuto.

 il primo e l’ultimo che mi ha fatto salire in questa notte.

da una valle di nubi nere tende la mano sul mio abisso. Ma non so dire chi dei due è nelle tenebre.

e chi invece è nella luce.

Palermo. Guardie e Ladri.

faccia-da-sbirro mi carica ormai ogni sera. ho sbagliato a non chiedergli soldi. ormai, dice lui, è per simpatia.

suo padre contadino del Belice. infanzia baraccata, io scopo con tutto questo.

io scopo con le sue macerie.

mi concentro sul giocattolo del suo corpo, ed il peggio di questo abbaglio è che i muscoli del suo petto si incastonano ad i miei, che nell’incavo della mia ascella il suo bicipite trova rifugio.

ha braccia più grosse delle mie, se lottassimo avrei la peggio. ma non sa usare un coltello. è più il tipo da pistola di ordinanza.

forse è in licenza, o non fa turni di notte. non domando, ho imparato ad evitare le menzogne.

sono capriccioso , mica sono gay, non è che mi prendo il vizio? perchè se mi prendo il vizio mi sparo.

è già più lontano di così. mi limito a ridergli sul grugno. un ragazzo scappato alle baracche, assoldato dal Potere.

potrebbe essere, i segni ci sono tutti.

leggo il cognome sul campanello , prima di entrare a casa sua. non si sa mai.

il nome non gliel’ho chiesto. come sempre, tanto me lo danno falso, e poi me lo dimentico.

le cosce si incastrano. complementari. abbiamo gambe buone per fuggire o inseguire.

capisco che vuole sottomettermi, ma prima la devi prendere tu, gli dico. lui si incazza, ma per finta.

e come finì, qua, mi dice, che il frocio sono io?

sei già più lontano di così. porcoddio, cos’è questo abisso calmo? dov’è che stiamo andando?

e poco prima di sborrare: non devi più scendere in strada, hai capito? ti faccio fuori, altrimenti, se hai bisogno di soldi t’aiuto.

veniamo sulle lenzuola azzurre. mi segue in bagno e nello specchio incrocio il suo sguardo nero. ci sciacquiamo il cazzo nel lavandino. la doccia, mi dice è rotta.

hai capito che ti ho detto?

come in un abisso morbido , tende la mano verso di me.

io vado a vestirmi in fretta, prima che il gorgo spalanchi bocche davanti ai miei passi.

sul comodino la sua foto in divisa. ed una bella ragazza al fianco.

si è preso venti pasticche ieri. Maurizio è all’ospedale.

Fuori dal carcere.

ma la storia inizia prima. come sempre nel punto in cui l’Irrimediabile si sbuttana per il gusto di passare inosservato.

di preludere al guasto.

Sabato, sediamo alla solita pizzeria del Borgo, capricciose a due euro e cinquanta. servite su piatti senza bordo , di metallo.

sfaldiamo una familiare con Luigi e Nico, cazzeggiamo sgangherati. ma a metà di una frase Nico spalanca la bocca piena minchia come si è ridotto, c’è Maurizio la Manomorta, spiffera piano.

è dietro le mie spalle e so che sorride irraggiungibile ma non mi volto.

come stai non ti si vedeva in giro da un po’, dice Nico.

adesso si piazza davanti a noi e sorride davvero come solo i folli o gli angeli caduti,  privo di attesa , al di là di ogni speranza o disperazione.  le macerie dei suoi ventitre anni fumano di olocausto.

chiedilo al Malacarne dove sono stato,  senza piegare le labbra sui denti, adesso devo andare, aspetto visite.

E’ ai domiciliari.  ed A.  se l’è rimesso dentro, gli piace vederselo girare in mutande in casa, malgrado non gli tiri più coi maschi al Maurizio , è impotente da quel punto di vista lì, ormai.  A. prenderà più botte, spiego al Luigi che non sa di quella storia, la vecchia checca bancaria le prenderà di santa ragione, perchè ci tenta sempre e se lo alleva come un mastino, sta coltivando il suo assassino.  per espiare lo schifo che prova per i suoi sessant’anni di divieto di essere se stesso.

A. ha paura che sua madre, novantenne, lo scopra. prima temeva che suo fratello, quando era vivo, lo venisse a sapere, poi i suoi colleghi, ora la vicina di casa, i suoi nipoti, il carneziere,  tutti più importanti della sua vita. ed ora alleva il suo assassino. perchè hai fottutamente ragione : tu fai schifo, come tutti i repressi. la tua vita sarebbe inutile non fosse tossica.

mi ascolti? chi ammazza un represso ammazza un uomo già morto.

erigo statue alle mani che ti si annodano alla gola.

ma lo stereo ed il pc portatile l’avrà portato al villino , non come quella volta . perchè sa economizzare il suo lasciarsi derubare. vecchia checca fa brodo annacquato.

poco fa Nico alla mia porta con vaschetta d’alluminio porta-pranzo, chiede entrando se ho da bere, e si fionda sul  frigo.

anellini al forno a  colazione, che si festeggia?

niente, dimmi come va con Faccia-di-sbirro, quel figo con gli occhi neri, mi ha detto Gianfrancesco che ti imbarchi ogni sera con lui e non ti si vede più.  mi stai diventando gay Malacà?

fottiti. non gli spacco il culo perchè è il mio migliore amico.

inanelliamo la forchetta e lui su due piedi:

ho sentito A., mi ha detto che Maurizio è all’ospedale.  Dall ucciardone (o come cazzo si scrive) non è mai uscito veramente fuori.

s’ è ingoiato venti pasticche , mi sa che è spacciato.

ed io non sento niente. ricordo solo che aveva paura a dormire da solo. non sento niente. c’è un limite oltre il quale sono andato da troppo tempo.

posso solo registrare.

possederti nei fianchi è sbuttanare il cielo.

Colonia. prima dei venti.

l’inesorabile cielo NERO sbiadisce . L’alba crudele e santa scherza ad apparire lungo il RENO.

sullo Strassenbahn facce di catrame un leader stanco tenta di incatenarmi col suo sguardo . una punk raccoglie le sue borse di tela bisunta. inconcepibile pallore. il suo tipo le sbava sulla spalla , sonnecchia strafatto.

ascolto in cuffia Dead can dance, sto tornando a casa di Evi.

Evi fianchi larghi ma longilinea nel complesso, nè un pregio nè un difetto in lei. si definisce di taglia mediterranea. vuole il chico latino, un amore muy caliente. impossibile farla smettere di usare lo spagnolo con me. è troppo smarrita nel fantasmare un’ Ibiza fra le Eolie, che non riesce a spiegarsi perchè il suo clichè che mi imbottiglia mi disturba.

godo dentro di lei, mentre le mordo il collo , so che lo adora. ha seni piccoli dai capezzoli rosa ed anemici. teneri fra le mani turgidi al tocco.

e lei ne vuole ancora. possederti nei fianchi è sputtanare il dio. lecca la radice del mio cazzo, il vessillo di questo vascello fantasma che è il mio corpo. lambisco limiti dove il dentro e il fuori si congiungono. dove gli umori dimorano. capelli serici le scendono sui capezzoli , quando si muove sopra di me, come l’albero di questa nave che affonda.

affondo i colpi.

fra pochi giorni arriveranno i venti.

con loro il naufragio.