Archivi del mese: gennaio 2004

scordami – gli dico….

scordami – gli dico. sfugge soffiato. Stentoreo , ma attraverso un muro di fiato. un rantolo esploso.

Un grido d’allarme strozzato. scordami. cancellami, oppure,

dì soltanto una parola.

ed io gli dico di scordarmi. il suono esce scoppiato dalla gola e meccanico . è già sulla lingua quando vorrei fermarlo. irrimediabile.

esce come un rumore che ascolto immerso in una vasca l’orecchio appoggiato sulla porcellana. E allora apro gli occhi dentro l’acqua . il mondo è così liquido e lontano che non vorrei più sollevare la testa.

dentro la vasca ascoltare rumori dell’altra stanza. Placentari.

Tu sei mio fratello , ti ricordi? dice poco fa appena gli apro la porta ancora gocciolante. il suono del campanello sentito attraverso l’acqua. ecco un particolare molto narrativo.

invece i fatti accadono anche se non voglio.

tu sei mio fratello, dice sempre così , poi mi prende per mano e mi trascina a piedi nudi in una danza sul filo spinato.

e sento odore di cemento appena arriva.

ypocrite opportunist don’t infect me with your poison, ho messo su musica a tema per cancellare l’obsession che a tutto spiano la vicina fa suonare da tre ore – maledetta – fa pulizie approfondite il sabato mattina.

sento odore di cemento e cimitero appena appare. lui , mio fratello la morte.

mi domanda se ho bisogno di un “lavoro” . diciamo così.

non voglio nessuno che viene a bussare alla mia porta la notte e mi scoppia la faccia con un colpo di pistola.

gli dico nuddu ca veni a tuppuliari ri notti e mi spara.

è così che li hanno ammazzati, suo padre e suo fratello.

così che poi ci conoscemmo in certe stanze da bambini.

e quant’è durata questa traversata di tempo?

da quanto ci conosciamo chiede? e ora te ne esci con sta cosa? che ti capita Malacà , sei cambiato.

mi guarda con disprezzo.

tu vuoi fare sempre il frocio in mezzo alla strada? non t’affrunti?

e poi che fai lavi scale?

e tu – gli rispondo – come vuoi aiutarmi , con questa? lo cingo per la vita e tocco il “ferro” dietro le sue spalle. sotto il giubotto.

vai in giro come uno sbirro.

fa la guardia giurata per una polmafia qualsiasi.

e lì mi scappa . scordami, t’ha scurdari i mia.

mi sfugge e non vorrei.

fa un passo indietro a misurare l’ ampiezza dell’abisso o della fossa, dai miei piedi ai suoi.

a luglio vado via, voglio arrivarci vivo – gli vomito addosso – e tu frati miu, ci sarai?

che cazzo stai a fare in questo posto?

uso le parole che una Faccia di Sbirro un giorno mi ha detto. ed ha taciuto. avesse detto solo una parola , una soltanto. ed io avrei lasciato tutto per seguirlo. come un bambino.

se solo avesse detto quella parola. invece.

Vieni con me fraté, andiamo a Parigi o dove vuoi tu, andiamo a sentire che i giorni hanno un colore.

ma lui sa che non può , al punto in cui si trova, mi confessa: ci sono dentro ho troppi amici.

come se non l’avessi capito.

e neanche stavolta dice niente di sua moglie, la ragazzina presa a diciasette anni.

ci sei dentro. e allora cristo, veni fora!

vieni fuori, veni foras.

sta zitto. mira l’abisso. forse questa è la parola che poteva salvare solo me, quand’ero morto. non lui.

vieni con me. una sola valigia leggera. forse vuota. andiamo a vedere che i giorni fanno  rumori di vita.

basterebbe che lasciassi tutto e mi seguissi.

che tu ne venissi fuori.

veni foras.

oppure. scordami.

dentro il sonno spro…

dentro il sonno sprofondo nella lana del materasso sulla branda.

Caserma Berardi , Avellino. L’errore.

incombe il sogno ancora o è già mattino?

il mio calabrese ha un nome musicale, Elià, Elio, o entrambi, io non ricordo (mento, lo sto proteggendo dal sole).

lavacri mattutini nei cessi chiarissimi al neon prima che sia l’alba. sulla piazza d’armi c’è la neve.

adunati. allineati e coperti . Lui mi cerca nella fila e mi è accanto. siamo bambini che vogliono giocare con le palle di neve.

invece: marciamo uniti e compatti . contatto di spalle.

dietro di me Alessi in bisbigli mi chiama per cognome. questi i dogmi dell’istituzione.

il cielo è quasi sgombro , come lastra di vetro. spaccherà le ossa il gelo. così le nubi rade illuminate da dietro sono il volto di cristo su un telo.

Alessi dice: domani l’uscita è alle 9.30 , è domenica, andiamo a vedere il castello Sforzesco a Napoli.

i Campani fanno peti al suo indirizzo : uè, te metto o’ pesce ‘mmocca, a uallera a tracolla e ‘ppall ngopp’ e recchie. nun ce sta o’ castello Sforesco a Napule.

il calabrese ridacchia. Invece, mi dice , andiamocene a Pompei e Ercolano, noi due, oppure a vedere il vulcano.

deglutisco, cos’ è questo abisso? e cosa vuol dire davvero quel noi?

mischiare il nostro seme perché si squarci una sindone in cielo? NOI.

tra le macerie, mi dirà, vuole cercare un solo muro pieno di scritte, e sul muro una sola frase:

admiror parieNs te non cecidisse ruinis.

Elio ha fatto il classico, mi spiega : l’ha scritto un ragazzo come noi, dice che si meraviglia che la parete non sia crollata per colpa di tutte queste scritte. C’è pure un errore , quella N non ci dovrebbe stare. l’ha messa per sembrare acculturato.

Elia vede che la cosa mi interessa e allora mi racconta una cosa che mi lascia interdetto, e penso: è pazzo.

ho letto che il nome di dio è nascosto in una delle lettere di una delle infinite parole delle miriadi di testi scritti dagli uomini per descrivere il mondo.

Io gli domando che cos’è una miriade, e lui è felice di farmi da maestro. E allora mi meraviglio anch’io che il mondo non crolli sotto il peso di una miriade di testi che lo affaticano spiegandolo.

allora Elia mi guarda con occhi lontanissimi , da cieco: Forse il nome di dio è nascosto in questa lettera , questa N, scritta per sbaglio sulla parete. se la cancelliamo forse il mondo scomparirà per sempre insieme a dio.

Elia dopo il c.a.r. trasferito nella sua terra, io a Roma. Chissà dove si trova adesso, magari in qualche biblioteca.

la parete invece suppongo sia sempre al suo posto, così la scritta che contiene l’errore che tiene in piedi l’universo.

e se gela fa paura. …

e se gela fa paura. nta sta nuttata niura ca mi pari na petra. e potrei stare solo alla fermata di un autobus. oppure.

sulu nta na caverna. stanotte sento abbaiare cani qui vicino. sotto l’arco dei Bottai. e cantu e chianciu un cantu ruci e nicu. fa di me lo strumento della tua nullità. con un sacchetto sotto il braccio ed un cartone sopra il cuore. potrei bruciare e morire anch’io così? e mancu mi capisciu quannu parru. un picciriddu stancu sugnu. sulu nta na caverna. guardami potrei bruciare. scisso fra il bambino che ero e la sua lingua madre e il ragazzo di ora che infine l’ha perduta. accussì ora lu cori s’astuta. le ossa fanno male. volute azzurre da sigarette che dovrei smettere. lo dico sempre e poi volgo in pietà la mia menzogna. e poi volgo in pietà la mia menzogna che dico per farmi meno male. sugnu rintra o regnu ru scuru. e dovrei uscire a cercare nell’alone di un lampione un po’ di fiato. scambiare umori. sangue e seme ma il nostro corpo è plastica. proteggimi da me e dai miei sogni.
brucino truci stanotte anche i risvegli. in cui mi avvolgo . in cui mi avvolgo in un sudario e tremo e dico:
e sognare che sia aurora . un altro giorno . un giorno altro. portami lo scalpo delle mie speranze. questa disperata voglia di starci al mondo è viva e mi tortura. disperata voglia di vivere e pregare blasmfemo : io , che sei dio, risorgimi.

mi tortura e staiu sugnandu l’ura ca veni a luci. risorgimi.

veloce, veloce. alm…

veloce, veloce.

almeno se mi fanno fuori si saprà chi è stato.

Mi telefona Marcio, sempre lui, e più chiama più lo rimando. e più impazzisce. cercati un altro, no?

c’è di meglio.

è abituato al mio cazzo ed io, purtroppo, sono abituato alla sua emicrania. fa male così piccino, perché il mio corpo lo rifiuta.

se è per i soldi posso salire a ottanta.

o.k. ma ti inculo solo io però, vabbene?

a Palermo non le danno neanche alle travestite ottanta .

alla fine concordiamo alla meglio. lui più lo conosco meno mi piace.

Marcio, ovvero Marcello, che poi quella volta sei finito nel seggio elettorale dove Nico faceva lo scrutatore.

e stavi per dare la carta d’identità al lato delle donne. perché lui non sapesse che hai mentito sul nome.

e soprattutto non leggesse il nome della tua famiglia.

ora ogni cosa è stata scritta. chissà che penserebbe tua moglie.

alle due , mi dici , vado via dalla festa. lei dov’è stanotte a casa?

e allora andiamo da te, al villino. la casa , lo so già sarà gelida e nuda e morta e perturbante come un quadro metafisico.

le case di vacanze viste in inverno. l’altra faccia , quella vera del mondo perfetto.

quella dove porti amanti, puttane, travestite, giochi , bische, droga. cos’altro?

quello dove la vita vera appare e non appare oltre le mura.

A casa mia non vuoi farti vedere. perché i vicini. sai com’è.

vado a prepararmi . è l’ora.

tenebre oltre le sba…

tenebre oltre le sbarre. ho solo me stesso e qualche pezzo di vetro. il mio compagno di cella – Gregorio –   l’ho battezzato io , 

è uno  scarafaggio.

ho solo me , frammenti di vetro

 e due lampadine che pendono dal soffitto tetro. incandescenti.

le mie mani bambine hanno creato un lampadario opalescente di pattume.

misero rotto e  sporco. in questa cella è sufficiente.

questo il sogno che ho fatto stamani:

quando   viene il carceriere viene l’Orco.

non so dove celare la creatura.

lui fruga nei bui recessi della carne. con un artiglio perquisitorio.

fruga nella mia carne e con fauci inquisitorie urla:

cosa volevi farne?

tremo quando lo trova,

è solo il mio lampadario, protesto, nient’altro.

un lampadario, solo questo.

 

adesso nel buio mordo le sbarre per non urlare.

la mia creatura è dentro un cimitero museale.

il carceriere ride di me:

titanico saccente, cosa volevi farne? un lampadario per clonare il sole?

ma io non volevo il sole,

ma quale dannata creazione,

 volevo cacciare il fantasma del mio compagno di cella. quello che c’era prima.

 (invece lo scarafaggio

fugge al passo del carceriere).

ma quale dannata creazione, non volevo clonare il sole,

le mie mani bambine hanno fatto

solo un misero raggio

di luce, con due lampadine.

 

sono verticale , appeso ad un soffitto

morto faccio luce.

apro gli occhi.

risvegliami.  

oppure,

cancellami.

appena che il vento …

appena che il vento passa, io ricomincio a fischiare. una canzone di mia invenzione.

(dico così per rassicurarvi).

ecco Erotica spunta dall’auto. esce solo i capelli anfatissimi dal finestrino.

Malacà veni ca, t’aiu a parrari.

chissà quali parole da trans apprenderò ora.

Manuale del perfetto Malacarne: Ora t’insegno io a parlare.

c’è una nuova, mi dice l’Erotica, tutta pittata.

e che vuoi da me? le chiedo.

è roba tua, è un frocio mezzo truccato, fra due giorni questa si lancia, ma per ora ci devi cummattiri tu.

combattere nel senso di un padre che bada al bambino. diciamo. è tutta muntata, mi dice, ora ci infilo in dito in culo e tiro u stuppagghiu accussì si sgonfia. Parola di travestito.

ridacchio, a me non mi frega un cazzo più di mantenere il controllo della piazza. tra l’altro per un po’ non scenderò affatto, troppo freddo, e poi G. mi ha passato quel lavoretto e sono a posto per un po’.

eppure vado per fare stare muta l’Erotica.

e tu cu si?

lui è un tipetto effeminato , la faccia sporca di fondotinta e un po’ di rossetto, grazioso e forse si può salvare. Dalla transificazione.

chi ti ha messo qui, stai travagghiannu?

perché, non si può? domanda, e guarda di lato un’eventuale via di fuga.

esco un fazzolettino dalla tasca, l’ Erotica segue la scena a distanza.

sì , ma non truccato, gli avvicino il fazzoletto al viso: pulisciti, qui le trans cacano la minchia. puoi scendere a gay, ma legati i capelli e nientre trucco. sennò parla con la Camilla e vedi se ti lancia lei.

lanciare?

non capisce quel che dico. Qui ci vuole un rapido corso universitario. nel frattempo, però, ha fatto quel che gli ho detto.

Lanciare, vuol dire che ti fa scendere in strada lei , ti presenta agli altri travestiti e ti vattia, ti mette l’inciucia, insomma ti dà pure il soprannome, ma vedi che non si fa niente per niente.

abbozza. E a maschio?

a maschietto devi parlare con me, ma per me possono scendere tutti, basta che non rompete il cazzo.

cu è sta scassata, fa Gianfrancesco , avvicinandosi, è nuova?

sì, ma era troppo anfata e lanciatissima e l’ho fatta sconsare, che già la stavano ammartucando .

si era consata a fimmina? iiidda, ride .

t’ummaggini chi curaggiu.

ma è bellina, mica viene oscena. iidda, a picciuttedda.

lui sta zitto e ci guarda interrogativo, voglio dire che verresti bene come travestito. Traduce Gianfranco

lui , un po’ civettuolo, sorride.

‘sta sgallettata altri due giorni s’imparrucca. C’hai inciuciato?

no, l’ho solo fatto scunsare.

gianfrancesco si avvicina al ragazzino e lo squadra per bene.

mi pare pinnuluni, guardandolo all’altezza del cavallo.

chessò, vuoi provarlo? tu sei più antico, tocca a te. lo cedo a Gianfranco .

ora ci penso io, lo apro comu na ranata. si sbellica.

araciu, mica sai come è messo?

per me questa è spanata.

come hai detto che ti chiami?

Luca. Il tipetto non è molto imbarazzato, cerca solo di capire che accadrà. Il mio amico vuole sapere come sei messo, la prendi in culo? sei pinnuluni o emicrania?

eh?

come l’hai la minchia piccola o grande?

e com’è che dite?

Malacà, interrompe Gianfrancesco, rovinati siamo, bisogna spiegargli l’alfabeto a sto cucciolo.

allora, emicrania vuol dire che uno ce l’ha piccolo , che proprio non sai che fartene e ti viene il mal di testa e dici, non posso fare con te c’ho l’emicrania. quando ti dico che un cliente c’ha l’emicrania, sai che cosa ti aspetta.

pinnuluni è il contrario, se uno è masculu pinnuluni devi stare attento ché ti sventra. ma se sei spanata , cioè larghissima, non devi preoccuparti.

Luca , ti sventra nel senso che ti sfonda il culo, capito? tutta svintrata. chiarisco.

pare sollevato.

vabbè fa Gianfranco, questa è la lezione numero uno, domani ti faccio un po’ di pratica.

e se ne va nella sua piazza.

e non ti imbarcare mai con due. capito?

mai salire in auto con più di uno. Lo lascio al suo destino.

fischio e mi allontano, tra le luci dei lampioni.

poi ricomincia il vento. e lo respiro.

spalanco la bocca . ho un palato emotivo. la mia lingua distingue il benzene, il diesel, il catalizzato, la miscela delle moto.

sento la fragranza delle luci aranciate sotto i denti,

come la polvere dell’ indolenza.

riprendo la mia posa maledetta e decadente:

dico così per rassicurarvi, perché possiate dire:

mente.

sovverti i colori al…

sovverti i colori al tramonto, tradisci te stesso fingendo di parlare del mare.

possa gridare verde la verità del male in questa valle di ossa in cui continuo a camminare.

scaliamo gli scogli all’imbrunire. ci sono nuvole, rune nerissime e lente, e lune da decifrare.

quando tolgo il nylon dal viso, non riconosci più questa piaga che ho per sorriso.

Dieci giorni ieri. Sentieri e cubi e il figlioccio della Morte.

parto da casa all’una, è tardi e freddo ed ho tutto gennaio da attraversare, per arrivare dove?

per arrivare dove? mi immergo nel fiume marcio del viale. con sospetto. è proprio un lungo viaggio che non mi porterà al niente.

ho messo su il filtro giallo degli occhiali, comprati da un ambulante. marca cult , cant o simile, non so più, la scritta è sbiadita. non è fatta per essere decifrata.

le case che vedo sono cubi inabitabili. la città è un labirinto sconfitto . morto e finto.

le cose che vedo sono incubi inabitabili. In una notte fonda della vita, fondono tutti gli orologi.

sincronizziamoli, come nei film. e passiamo all’azione.

(in una notte fonda della vita sono sempre le quattro meno un quarto).

è l’ora di agire. le parole sono segni indecidibili. noli me legere:

fratello, portami a casa. è ferito dentro e sanguina sempre. portami a casa stanotte.

ha occhi lontanissimi, il figlioccio della Morte. quando appare barcolla all’incrocio. mi ricordo di quando l’hanno ferito davvero , ora è solo ubriaco. le cose sono finte e si ripetono ma sbiadite.

ho bevuto al cafè Berlin qui dietro.

via G. Daita, la solita strada matrigna. Non si regge in piedi G. , questo il nome del figlioccio della morte.

M. posso dormiri ni tia stanotti? mi chiama per nome, ci conosciamo da bambini. stesse stanze.

c’aiu a fari , veni ni mia.

mai visto così nudo e solo e nero.

apro la porta e lo butto sul letto. come quella volta ferito.

tutto si ripete, ma sempre più parodistico.

lo butto sul letto dopo averlo sorretto per le infinite scale.

allunga una mano sul mio ventre, ma già dorme.

tu mi farai ammazzare, G. , gli dico. ma dorme.

al mattino più straccio di prima.

mi mette un braccio al collo come un cappio.

Tu sei mio fratello, lo sai?

suo fratello ha fatto una pessima fine, come suo padre.

grazie assai, più tardi iamu a pigghiari la macchina? siamo venuti con la tua giusto?

cerca di parlare in italiano con me , io sorrido.

hai sempre quella renault 11 scassata? chiede

lo guardo fisso, so dove vuole arrivare.

ci vorrebbe un lavoretto, vero?

che hai per mano, domando secchissimo. la gola pulsa.

ridacchia come un corvo. stiamo via manco una settimana.

inghiotto saliva e veleno.

sei mesi penso, mentre siamo in auto e lui cerca di spiegarmi il Fatto, e andiamo in cerca della sua auto fra le traverse di via libertà.

sei mesi, metto su la cassetta di Kid A.

how to disappear completly.

sparire per sempre. sei mesi. dimenticare Palermo e la sua nostalgia.

i’m not here , it isn’t happened.

i’m not here

adesso che aiutano i venti, sparire completamente, tagliare i ponti, prima di finire ad armare una colonna di cemento.

Adele vestita di luc…

Adele vestita di luce. Madonnina aurea anche se sa che tutto questo luccichio è freddo.

Milano. quel tumore sulla pianura.

all that glitters is cold,

canta sussurrando. mentre sorrido nell’eco distorta della sua tremula voce .

segue in cuffia Mary l’immenso, come lo chiama lei anche quando non è sbronza o sballata.

ha croci rovesciate con rabbia infantile sul petto in fiore – Adele – come se il recto e il verso non fossero lo stesso oppio.

così capisco subito che siamo distanti come due continenti.

da San Babila giù lungo corso Venezia. fino ai bastioni.

come due continenti.

ai giardini pubblici trovo un tipo neanche vecchio. mi vendo anche per lei. Adele non mi chiede, non le importa. siamo vivi ora?

fumi come treni di film come ciminiere, siamo fuori come DIO.

poi ci sfondiamo in un clandestino a Lugano, io sto sballato due giorni, lei sette ore. che forza la bimba. dopo lei  si addormenta su di me quando stiamo per tornare sopra un treno marcescente tutto blu indaco viola. tumefatto.

E’ milano, laggiù? domando , dopo aver battuto la testa sul fnestrino.

Non è Milano , è solo un tumore sulla pianura,  risponde .

Adele la prima volta mi si precipita giù dalle scale mobili in piazza Duomo,

mi cercano mi cercano sussurra concitata. ma il sussurro è il suo modo di gridare. è beneducata.

l’aiuto a nascondersi dai suoi genitori , i mediocetacei in rapidissima ascesa.

ma so che tutte le droghe di questo mondo non la salveranno da se stessa.

a pill to make u numb

a pill to make u dumb

a pill to make u anybody else.

parla mischiando italiano televisivo  all’inglese Adele: questi i segni dell’ apocalisse.

le dico che fanno così i froci: è come averci un barboncino infiocchettato in bocca, per questo i froci si chiamano gay e parlano l’inglese e il televisivo. lei ride capisce non capisce è fuori.

all’ afterline in via sammartino. bevo una coca condita e il barista storce il naso al mio accento, ai miei vestiti.

tre sorelle snelle, vestiti come ballerini di madonna che scimmiottano Britney Spears,  braccialetto e collana ferré dior cavalli, topolino , i particolari che fanno la differenza , i segni dell’apocalisse.  e parlano da soli tutti.

diocane parlano da soli , sputano in un filo legato al cellulare , muovono gesti finissimi con mani da sciampiste di canale cinque e fanno foto col cellulare , per domandare all’altro fantasma che sta in ascolto : come sto?

come sto?

credo che deanni  novanta resteranno queste due parole:

come sto?

e allora che venga l’apocalisse.

te lo dico io come stai : stai nella pappa di cervello , putrefatto, testa di minchia.

lo dico davvero a uno mentre lo incrocio fuori dal locale e muovo verso la stazione.

Lei – lui ha come un singhiozzo, terun bofonchia, quelo lì quelo lì, rifugiandosi dentro.

Adele , nella milano da bere, non posso salvarti da te stessa. dal tuo marchio giusto.

Adele ricoperta di glitteri innanzi le porte di un locale fighetto. nella milano da bare.

nei nostri bicchieroni cocacola scivolano monetine, solo da mani di qualche passante, mai nessuno dei tuoi amici che non ci vedono. noi a terra in gruppo di punketti , nella scodella c’è anche un po’ dell’ipocrita gioventù della Milano bene, da bere fino a rigurgitare.

ragazzini, il figlio dell’avvocato accucciato che lecca il cane, e il figlio del chirurgo delle dive cogli occhi ombreggiati da un cerino spento . tutti pronti a fare un po’ di bestia prima di comprarsi il ferrarino.

milano tu muori,  tumore sulla pianura?

Ritter e Golia scodinzolano appena la vedono, io neanche la riconosco lì per lì, Adele sparita da un mese, ora splende di glitteri che pare una soubrette, ci guarda e si volta di lato, a me mi frega un cazzo, ho visto compagni d’istituto con cui ho diviso il sangue voltarsi senza salutare. nella Palermo da dimenticare.

la terra è un cimitero.

abbaiano Ritter e Golia, questo si slancia , scappa alle mani anfetaminiche di Gaspare, giù festoso a scodinzolare alla più troia delle expankabbestia che mi siano capitate mai , precipitate giù dalle scale mobili di piazza Duomo.

mi hai aiutato a capire che il punk è un po’ di carnevale borghese fuori stagione.

nella Milano dabbene. Adele hai sguardi chimici  imprecisi verso la corte dei miracoli che mi circonda, non mi hai visto davvero. ora è babbo che te la compra la coca, che almeno resti pulita, bambina?

che almeno resti pulita, grandissima puttana?

Golia vomita sangue calciato dall’anfibio del buttafuori rasato. dice una cosa tutta belìn va via te nè , che pare una melodia, ma sbudella il cane ,  gli spappola il ventre.  

agonizza e guaisce e vimita sangue schiumoso , guarda Adele con occhi squarci che si velano . le era  affezionato , il tuo prericordi? lei scivola dentro il locale muta.

la corte dei miracoli assalta il buttafuori ché Golia è spacciato.

ma il Caronte  col solito filo che qui hanno incorporato nell’orecchio aduna demoni.

stiamo rissando di brutto quando  arriva la polizia.

e a prenderla in culo ovviamente siamo noi. che poi siamo quelli senza babbo e mammà pù avvocato e telefonatina potente che attende in questura. gli altri vanno a casa.

spero che il paradiso dei cani non sia un inferno come quello dell’uomo.

che sia privo di gerarchia.

Adele, se un giorno dovessi ricordare di avermi mai amato in uno delle notti passate a vuotare cartoni , non dire alle tipe che frequenti ora: ero scema , era bambina.

taci: almeno il silenzio non sporca.