Archivi del mese: febbraio 2004

Lascia che il mio co…

Lascia che il mio corpo si nutra di ciò che nego.
Lass’uns noch was Wodka holen , fuetter mein ego.
meine neue Vitamine . Ascolto parole distorte , ho suono chimico dentro la testa. dentro la testa è notte . bevo wodka e nutro il mio ego

lucido-oscuro.

Crisitian spezza tra i denti altre sorti di vitamine per la mia notte disfatta, mente, ma questo accade più tardi. Prima abbiamo una base di Koelsch e coca .

Ecco l’aria che brucia e tu credi che sia solo un portento alchemico , invece è il vento della filosofia dei presocratici.

L’alba di inganni scherza ad apparire ancora all’uscita del Neuschweinsteinschloss, lo discoteca col nome da Valchiria alle cinque e mezza. ho un membro così lungo allora che posso scoparmi il cielo, e quelle che vedete non sono le stelle è il mio seme.

Abbiamo lavorato fino a mezzanotte. Tre a testa. O meglio due perché il terzo cliente lo abbiamo fatto in un dreier, e fatto fuori. porcodio, l’abbiamo fatto fuori? ma no , fa Cristian, è solo strafatto il porco. fuori come un patibolo.

ma prima : Usciamo dal Valentino, bordello gay , e prendiamo la metro alla Hauptbahnhof, scendiamo una stazione dopo e torniamo indietro, perché vogliamo passare a Heumarkt, anzi no, perchè non sappiamo neanche noi cosa cazzo stiamo facendo. C’è il tipo che ci aspetta , sta qui vicino. e ci si va a piedi nella notte che sa di acqua di Colonia. Scorre il Reno.
Fütter mein Ego!
Ich glaub’wir müssen nochmal hin
Ich glaub’der Typ schläft schon
Bestimmt! Niemals!
Zieh! Il tipo in questione è dentro la canzone sparata in cuffia ed è in carne ed ossa nel suo appartamento su tre livelli, quando ci apre la porta è già lucido come una biglia.
Niemals schlafen / alles Lüge / staubiges Vergnügen. Lui ci propina un vassoietto d’argento e il nostro compenso ce lo arrotola per benino. per stare per sempre svegli , perchè tutto è bugia, piaceri in polvere.
Telefon!
Zieh! Al primo squillo lui non risponde noi tiriamo su dal naso colla cartastraccia che vale quanto il nostro corpo. per ora.
Hörst du das nicht? Non senti sto cazzo di telefono? brucia la mia testa. brucia la mia testa, rispondi porcodio, rispondi a sto cazzo di telefono, come se fossi io dall’altra parte.

come se fosse dio.

rispondi o questa testa andrà in frantumi . piantala in mezzo ad una distesa di allori. dalla alle donne trace smembrami inalbami . piantaci sopra cocci aguzzi di bottiglia che sfavilli coronata di riflessi.
Eine fixe Idee geht durchs Zimmer
sie dübelt sich in meinem Kopf
Später dann!
Più tardi stiamo ancora correndo nell’Altstadt , il tipo lo abbiamo lasciato che dormiva di un sogno definitivo. forse infinito. Wodka e cocaina, misto ad En ? che altro ha preso? l’abbiamo fatto fuori scivolando nel suo drink gocce inodore? ma c’é un’eco serena che non mi piace nella mia domanda. e Cristian, ma che cazzo dici? è strafatto il porco.
Kannst du das Regal in ordnung machen , oder? …lui ridacchia e fruga tra gli scaffali. un paio di oggetti inutili . cazzo devo tornare lucido. nero lucido nero opaco. devo tornare lucido.

ater. niger.
Zieh! Telefon! Jetzt aber wirklich
Sag’mal hörst du das nicht?
davvero non lo senti? Chiedo. Was ?
Zieh! Das brennt ja wie verrückt!
Penso che diventerò pazzo, sento come una voce , riverbera azzurra,
che brilla più forte appena la nego. Fütter mein Ego!
ich bin das ganze Tod
und alles ist wichtig, und alles ist falsch.
Wovon reden wir denn die ganze Zeit? non lo ricordo più , parlavamo di qualcosa. ma cosa?
Zieh! Pst!
Numb your ideals!
Numb your ideas…
la mia bocca è così aspra mentre ingollo intrugli alcolici al bar della discoteca col nome da Ludwig der zweite.
E tutto è menzogna e tutto è verità, mentre chi danza muta in soldatacci ungheresi. E attorno è tutta neve. è tutta neve. In meinem Mund ist sowieso alles verrottet
und meine Nase hat direkte Zugang zum Gehirn
Ich bin 6 meter gross ,
dico a Cristian che ride sbilenco und alles ist wichtig.
ed io sono alto 12 metri risponde, seguendo le parole di questa canzone senza musica che ruota nella testa. E tutto è molto più che importante adesso.

è troppo più importante di così. pianta la mia testa dentro un iceberg di veleno.

è ghiaccio quel che resta.

qualcosa che sfregia…

qualcosa che sfregia il cielo, fomenta diluvi, sarà lo scirocco.

cammino, ho fatto uscire dall’armadio una donna impossibile, con braccia da muratore.

qualcosa vuole espiare?

qualcosa vuole perdere il controllo?

uccidiamo stelle e lucciole e lanterne , e la stupida pretesa che a qualcuno importi un cazzo di me se non il cazzo.

Lavori? chiede. Il tipo ha l’età mia , guarda i miei stivali senza tacco, sotto la gonna lunga a fiori, ridicolo come il mistero, ma poi ci ripenso , ridicolo come un trucco, come i sotterfugi dei deboli. come donna.

qualcosa diventa più forte cercando di vedere dentro l’altra metà del cielo.

niente conta. niente è al suo posto, lo capisco dal cielo,

il tipo ha l’età mia , che hai fatto stasera? chiede, parla gentile, nessuno mi parla così, sarà la parrucca. è il sabato sera delle discoteche e delle cene-fuori da cui esci frastornato per la troppa socialità presunta, e lui ha avuto un ruolo da gestire anche là. finto, siete tutti finti.

ora vuole me, parrucca alla valentina e poco trucco, ridicolo e osceno come il desiderio che proietta fantasmi dove vuole esserci solo luce. io non ho più carne per nessuno. infilati una trave in culo puttana.

qualcosa accade. qualcosa sta seguendo il suo corso.

gli dico lascia stare, è un ragazzo gentile anche nel volto, domanda come mi chiamo, e gli dico solo : cerco compagnia.

non altero neanche la voce. sono questo e nient’altro. sono me stesso con un feticcio in mano prendere o lasciare.

salgo in auto . mi richiede il nome, sciocchezze, poi mi dice non ti ho mai vista, mi parla al femminile, lo hai capito da poco che vuoi diventare donna?

eh?

ridacchio, sono vestito da carnevale, io non mi sento donna, rispondo, volevo provare l’ebbrezza degli abiti femminili.

mento, come sempre: in realtà volevo capire i suoi feticci sessuali.

qualcosa si spiega da sola.

e lui ci resta di merda, una faccia di minchia, poi comincia a balbettare  e io e io

volevovolevo  provare l’ebbrezza – ripete forse colpito dal lessico – me ne va, vado a casa, conclude.

si accosta e io scendo dall’auto sbattendo lo sportello. Tu sei malato lo sai? gli urlo duro.

lui rimane secco, vorrei che scendesse, vorrei picchiarlo, vorrei spaccargli il faccino da ventenne della palermo bene, un po’ sporcato dal pizzetto di barba biondastra, vorrei spaccare il parabrezza della sua pegeout verde bottiglia, vorrei avere chiesto il tuo nome, vorrei sputtanarti come si deve.

massacrarti.

tu sei malato, cazzo, volevi un’altra malata, che ti dice mi sento donna? uno che parla a fimmina? uno che regge il tuo psicodramma?

parole sciolte nello scirocco, lui è già partito, non vuole ascoltarmi, non vuole che rompa il giocattolo.

va ad imbarcarsi qualche manichino che incarni con convinzione il suo ruolo da baraccone, uno che creda alla maschera. una con la sua stessa religione nella femminilità.

perchè poi vogliono solo la minchia, tutti, ma almeno salviamo le forme.

di fronte ai loro cervelli putrefatti . è stata tua madre a istillarti sta fede?

tacchi parrucca una gonna a fiori, e il trucco che deve vedersi.

che non inganna nessuno.

cantano le travestite sul viale stanotte,

qualcosa canta, qualcosa danza .

tutte elene di troia. poliercetiche cavalle per entrare nella città proibita. dell’inutilità di fondo del maschio cui insegnarono la fede nella donna.

cieca.

torno in auto vado a spogliarmi in rima al mare, vorrei sciogliere questa carne nell’acqua gelida dell’alba, mentre il vento di scirocco alita da lontano, porta le sabbie di un labirinto di dune. in cui perdersi.

qualcosa riprende a vivere.

qualcosa sta seguendo il suo corso.

dalla spina nasce la…

dalla spina nasce la rosa e dalla Rosa la spina.

gioca col suo nome Rosa,

mia madre.

so figghiu, so figghiu – urla la vicina dal balcone – signora Rosa, so figghiu è un maladucatu!

non so più cosa ho fatto , nè quanti anni abbia allora.

forse il pallone sul balcone della vicina per la trecentesima volta ed io attaccato al suo campanello, forse  le ho rotto il vetro.

se lo tenga a casa ce lo buco sto palluni , stu maladucatu, ed io a dirle non so se buttana e troia o cose così.

Dalla spina nasce la rosa e dalla Rosa la spina. mia madre mi corona la testa di parole amarissime dure come il legno , che io capirò  anni dopo.

ma poi scappo via nella polvere e sudore che è la strada, l’altra madre. siamo bambini che non vogliono la scuola, che ci devono mandare i carrabbinieri a pigliarci.

e poi spezzo un gambo agli agredduci fluorescenti, cresciuti selvaggi ai bordi della strada, cresciuti come viene viene .

e nessuno conosce il loro nome. solo l’ingiuria, sono la malerba.

e li prendiamo dai bordi dei fossi, laddove i cani non vanno a pisciare, dai posti più impervi e loro crescono impazziti di sole.

li mettiamo all’angolo della bocca come più tardi faremo con le sigarette.

succhiamo linfe.

all’angolo della bocca un gambo di fiore malandrino.

pari un malacarni cu du ciuri mmucca!

poi tatuarono a fuoco la mia carne con quel nome.

succhiamo linfe.

la malerba, già lu sai, nun po’ moriri mai.

e semu picciriddi e agredduci,

e allora cu fu, e picchì ni chiantò?

tutti li ciuri addisianu la luci.

e nun c’è malerba ca nun sa meritò.

dalla Rosa la spina e dalla spina la rosa. dice mia madre e cuce cuscini con tessuti con su stampati i fiori che le hanno dato per nome.

anni dopo.

aceto, figlio di vino! stavolta lo dice fra i denti. mia madre. ché mio padre era il buon vino . io l’aceto.

lo dice con gli sbirri alla porta. e non ricordo più che cosa ho fatto

mento.

non voglio ricordarlo. forse mento ancora.

aceto figlio di vino. ripete, io stringo i pugni conficco le unghia nei palmi per farli sanguinare. . mentre mi portano via.

mentre portano via la spina dal vigneto. ma)portatemi/ilPadronedellavigna,sialuiatagliarelespine!

tutto è menzogna. il mondo le cose, le rose e quest’inferno, e l’eco della parola che non posso più pronunciare.

ed ho condannato a morte il Padrone del vigneto per omissione di soccorso.

ho il dolce aspro degli agredduci in bocca. ed anche questo è menzogna.

la verità è che premi la testa sul muro di una prigione, le mani stringono le sbarre e sanguinano, vedi il caos in movimento e posso vedere  il mio caos in movimento e

vedo il caos in movimento

e aspetto il giorno dell’esecuzione.

sei euri – dice. Mos…

sei euri – dice. Mostro le monete , tre da due. mi aspetto che lui le metta in bocca. tra le fauci della sua faccia da Caronte.

oltre il botteghino del cinema , scosto la tenda lercia e bordeau , traghetto nella luminosità fluida e nera – vinaccio della sala a luci rosse.

Cinema Orfeo . Palermo.

una carogna ansima sui miei coglioni. ma poi non vengo , lui ha sborrato subito . scorgo solo ora il suo volto devastato e nella fretta panica postorgasmica del colpevole va via, illuminato dalla pellicola sullo schermo.

occhi e fiato di peste un altro tipo che ha visto i movimenti ora vuole ingoiare. non gli dico neanche quanto sia alto il prezzo.

quanto sia alto il prezzo da pagare. da pagare tutto.

mi alzo io , pianto le chiappe sul velluto lercio consunto di un’ultima fila e nel buio voglio sprofondo dentro il porno.

il porno ha una sua trama essenziale.

l’osceno invece è fuori di qui.

sei euri – dice .  La voce roca di fumo del caronte al botteghino del cinema Orfeo è nella mia testa ed io sto pornografando il pianeta.

non ho più voglia ormai di questo posto, mi sono voltato troppo presto a guardarmi in faccia. La mia punizione è l’ombra.

il mio ritorno infinito , non eterno , alla vita.

sei euri – dice . ora la voce è adolescente . accanto a me fiata piano. Ha un cappellino calato sugli occhi , una tuta come la mia,  o che nel buio sembra tale, è alto più o meno uguale. forse sorrido.

sei euri – dice, minchia. è caro.

meglio quando c’era la Lira.

caro? ripeto, sì, certo, meglio la lira.

caromorituralyraaeterna

un riflesso di sorriso in questa valle semioscura della sala.

la pellicola scorre inutile . solo lo schermo è vero il resto è luce finta.

la sua voce adolescente adesso tace, andiamo nei cessi. gli dico.

come? chiede.

Cessi .

muove piano , seguo le sue spalle , le sue natiche . lui non si volta.

non voltarti.

non so se abbia inteso  l’invito – stai fuggendo ? –  o stia facendomi strada nel buio.

non si volta perché teme che altri capiscano i nostri movimenti e ci seguano o chiamino il caronte al botteghino.

questa la versione ufficiale.

o forse non si volta perché sa la verità .

che io sprofonderei di nuovo infinito,  non eterno,

 nell’oscurità

allora mi è chiara l…

allora mi è chiara la meta segreta. tais-toi , mon coeur , t’ es vide.

tais-toi avec tes regards humides.

l’inferno giace innocuo al di là della nebbia. ed è limpido il gelo.

perché il premio per essere sopravvissuti all’ inferno con la virtù è solo un paradiso di vizio.

Quando la nebbia sparisce è mattino , trovo un passaggio per una vicina città col nome di arazzo.

Arras. prima dei venti.

i piccoli villaggi del nord della Francia. si ripopolano con gli incesti. ci sono colline nere di carbone, resti delle miniere di un tempo . le trincee della grande guerra. ad interrompere una pianura senza confini.

fossi stato un po’ più uomo da salvarti, amico mio. Invece sul camioncino verde provo a parlare con un ragazzo biondastro in un dialetto del Pas de Calais. Ch’ti .

mi lascia sulla Grand’ Place, è vicina o è lontana la meta? e poi sono certo che sia questa la meta segreta? vago nel freddo scomposto del mattino e vorrei che fosse sempre mezzogiorno. invece è notte anche se splende il sole. è notte in quasi tutto l’universo. e nel suo ordine per me non vi è più posto.

soprattutto se splende il sole.

chiedo aiuto a questo vuoto perché si squarci sotto il peso dei miei pugni. eppure in una valle di nulla le sole ossa rotte sono le mie.

io non ricordo più se posso morire.

forse è questa la condanna: non c’è possibilità che finisca, non posso più morire ormai.

nessun posto mi vuole, l’inferno mi ha vomitato. e l’anima è un luogo lontano.

alla stazione guardo i treni per Parigi . mi sono perso nel vento che ho dentro.

c’è un ponte che serve per attraversare i binari e che puzza di piscio e porta i segni del passaggio di tossici. e bottiglie rotte. la cura per queste città con le facciate che sembrano di zucchero al mattino, coperte di brina.

e comincio a credere alle favole.

e che non posso più morire ormai.

in un vagone di ruggine al confine col Belgio, ora lui crepa, fossi stato solo un po’ più uomo, forse sarei morto con te. invece.

scavo un solco nella neve attorno al petto e scopro che il cielo terso è ancora più atroce.

sul treno dovrei nascondermi in bagno. con un treno a gran velocità sono cinquanta minuti dalla città degli arazzi invisibili alla ville lumière.

voilà ma saison à l’enferje répète trés dégradée , sans coup de révolver.

scavo trincee nel petto e attorno al cuore, scopro un messaggio marchiato a fuoco, atroce.

la lettera nascosta che mi tiene in vita.

la verità rende infiniti. non eterni. senza di lei soltanto io sono morto.

emet.

met.

la verità rende infiniti , non eterni.

strizza gli occhi ap…

strizza gli occhi appena mi avvicino. sorride come se non mi riconoscesse.

ha un livido sotto l’occhio. che hai fatto? chiedo.

solo allora sorride aperto, mi riconosce dalla voce, Luca.

Niente , due tipi mi hanno picchiato, mi hanno preso i soldi.

ti avevo detto di non andare mai con due, minchia, andiamo da Gianfranco.

qui ci vuole un manuale del perfetto marchettaro.

ora ti insegno io a fare marchette.

guarda che gli hanno fatto dico a Gianfranco, in realtà è un livido da niente. è salito con due.

Hai violato la regola numero uno , fa lui. Malacà, rovinati siamo, bisogna partire da zero con sta picciuttedda

Allora Gianfranco inizia: Luca, ascoltami.

1) mai salire con due, a meno che non li conosca bene, ma questo verrà col tempo.

2) i soldi prima, dopo che il cliente  ha sborrato farà storie per pagarti. Tirerà sul prezzo, dirà che deve ritirare al bancomat e cose così.

3) in macchia mentre raggiungi il posto meglio che lo tocchi, vedi se gli funziona e almeno sai cosa vuole, lo ecciti e risparmi tempo quando arrivi sul posto.

Malacà c’è altro? chiede Gianfranco cui non viene in mente nulla e ridacchia.

non posteggiare accanto al muro.

ah ecco, mi interrompe .

4) non farlo posteggiare accanto ad un muro o un’ auto dal lato del tuo sportello, devi sempre avere la possibilità di aprirlo e scappare.

5) i preservativi tienili sempre in tasca, ma prima chiedi se li ha lui , almeno risparmi.

6) i prezzi li sai, ma e un tipo vuole cose troppo particolari alza il prezzo e fai il preziosetto. senza eccedere, Palermo è una città povera e pure le trans inculano per niente.

7) se hai fatto picciuluna , tre buone marchette, meglio andartene a casa, non è bene girare con molti soldi in tasca, specie se non sei abbastanza grosso da difenderti, in ogni caso meglio lasciare portafogli orologio a casa, portati l’indispensabile.

8) non mostrare che ti piace più del necessario anche quando ti piace. Però tieniti pure uno con cui vai gratis a fine serata, devi godere anche tu alla fine altrimenti impazzisci.

Malacà ci arriviamo a dieci?

 mi viene da ridere alla faccia attenta da scolaretto di Luca, alzo il tiro: furti e massacri, ma prima parliamo del numerino.

sai cos’è un numerino? Interrogo Luca.

sì, è quando facciamo in due con un cliente.

Bravo Luca, hai fatto i compitini.

9) Scegliti il compagno per i numerini , in genere prende meno di chi fa la marchetta, ma ricorda che in teoria è illegale perché è come se uno sfrutta l’altro.

10) Evita di fregare dall’auto se fai marchette, specie nella tua città , non sai mai con chi hai a che fare e poi i posti sono quelli, rischi di non poter scendere più in viale, cambiare città ,  per molto tempo, e perdi più di quanto hai preso. Stessa roba coi massacri..

Luca si irrigidisce: sai cos’è un massacro, un massacro di porta pia? cazzo non sei preparato, vai al tuo posto.

Un massacro è quando tu sai nome e mestiere di un tipo sposato e lo minacci di sputtanarlo per ricattarlo, C’è chi si è fatto i milioni così, mettiamo che minacci un tipo marcio di andare con tacchi e parrucca sotto casa o sul lavoro a sbuttanarlo o magari  in internet mettere nomi e numeri e misure, ma questo è pericolosissimo. La Massimuccia di Mondello è stata ai domiciliari per un sacco di tempo , perché il tipo ha preferito sputtanarsi con la moglie anzi che  mollare i soldi , tanto le donne  si accollano pure di farsi infilare un palo nello sticchio pur di avere uno straccio di maschio a lato, sono come le finocchie per questo vanno d’accordo , stessa testa, qualsiasi compromesso pur di avere una minchia a lato al mattino.

Adesso andiamo a lavoro, fa Gianfranco, u picciutteddu ha studiato abbastanza, se mi capita un numerino lo chiamo così facciamo un po’ di pratica.

nei sogni che faccio…

nei sogni che faccio al mattino è sempre notte.

all’angolo tra la Third Avenue e la Fifty-first Street. Ho un cappello da cow-boy , niente di nuovo.

muovo ondeggiando guappo come solo nei sogni posso fare senza ridere. Sputo sul  marciapiede e mi accorgo che ho tracciato una scia di lumaca, col senno di poi.

svetta la griglia nera dei palazzi – grattacieli con poche finestre accese,  che sfumano verso l’alto. Se alzo gli occhi- se solo oso alzare gli occhi, seguo il profilo a scacchiera verso l’alto – mi accorgo che lassù  manca qualcosa :  il cielo.

New York all’angolo tra la Third Avenue e la Fifty-first Street (L’Incubo ).

ho appena infilato una penna di pavone in culo a un cliente che si masturbava facendo versi di pollame a terra, nel suo monovani pressso Madison Square. Tutto questo è già accaduto, mi dico, e quasi mi sveglio a quel pensiero. Che tutto torna e tout se tient.

ho addosso la canotta del mio giocatore di basket preferito. numero e nome.

ripeto: numero e nome.

ne sono così orgoglioso che scivolo guappo per strada.  fra i denti una canzone di mie invenzione.

parlo con un tipo nero chinato a raccogliere plastica da terra. sono lettere dell’alfabeto col retro magnetico.

mi dà un cofanetto minuscolo e io lo intasco terrorizzato.

le vetrine di un noleggio video. entro e compro una bibita gasata e due sacchetti di plastica di caramelle a forma di elio.

c’è scritto sul pacchetto: a forma di elio.

i volti degli attori mi guardano cattivi dalle custodie della videocassette.

 in una c’è scritto Bad – Flesh  e c’è stampato l’ Empire Building giallo banana. ma i colori li aggiungo col senno di poi. ora.

mi si accosta un uomo  in un lungo impermeabile  estivo, ottimo per le sere d’estate a New York.

mi offre una sigaretta appena usciamo dal negozio e la mastico. grigio .  

sulla sua ford anni ’70 , si sbottona .  siamo in un vicolo di pattumiere e scale antincendio in ferro ruggine troppo alte per essere raggiunte. una scala sospesa nel nero. il mio sportello non può aprirsi.

ho trasgredito la regola numero uno , dico, il mio sportello non può aprirsi. il muro suda accanto al finestrino.

esco il cofanetto e lo poggio sul cruscotto. e lui dice. ora dammi la Formalina. l’autoradio si accende da solo e comincia una musica angosciante.  la stessa canzone di mia invenzione. i numeri della canotta sono gli stessi della targa dell’auto (in rebus illis)

luccichio nel buio.

apro gli occhi.

ho lasciato la stufa accesa tutta la notte e mi sono svegliato bagnato. il letto ha una macchia di sudore che riproduce il mio corpo interamente.

la musica sentita nel sogno è quella della pantera rosa. sorrido , col senno di poi.