Archivi del mese: ottobre 2005

nebbia vampira,

e’ cosi’ esangue

 la città nella  notte

eco e narcisa

-ça va? dice

-ça va! ripeto

je répète des mots d’amour  à lumière épuisée, jaune et jeune, même si  le ciel n’est  là  que depuis hier soir, j’en suis sûr;

 les mots réculent , m’abandonnent, je perds ma langue pendant que quelque chose avance, peut-être,

peut-être les choses sont si récentes qu’il n’y a pas de mots pour les dire.

per solo potermi ascoltare, ripeto le sue frasi, non capisco bene il suo accento, sorride, mi spiega con altre parole, che ha voglia di stare con me, nel parking dell’hotel come quell’altra volta, io non ricordo nessuna volta precedente, sarà che l’alba domani partorirà il mondo. 

non ci sono clienti stanotte- mi dice- aspetto da due ore, e’ la nebbia che sbiadisce le strade a dieci passi e le cancella,

un labirinto d’ombre e’ questa terra.

 

poco prima: apro la porta del mio monolocale- cerco fuga dal controsoffitto di gesso decadente- la cella celeste dove ogni ogni ricordo e’ un gatto e puo’ graffiare se lo stringi troppo al cuore, ed esco alla nebbia della sera, ma forse e’ notte, forse le lancette mentono ancora.

 place rouppe- la statua fluttua al centro della  fontana –  fluttuo  nei vapori, respiro e mi specchio d’ombra.

per solo potermi ascoltare.

ingoia la notte con me, fratello,  vorrei dirgli, cosi’  mi rispecchio nell’altra ombra che si avvicina su place fontanas- le macerie dell’uomo- sopra le panche birre rovesciate, tetra nella luce falba atroce.

 E il tipo che  si accosta, io lo conosco, mi pare, e’ sempre la stessa scena, in fondo, io parlo col "Susio drogadito", come lo chiama il dominicano,  e’ il ramadam,  non dovrebbe star li’ ma non gli importa-credo-e non ne parla , cambia conversazione, e poi che nebbia e’ questa dove lo strade svaniscono a pochi passi?

tremano i polsi ripeto le sue ultime parole, come chi non conosce bene il testo  di una canzone, una lingua straniera.

una lingua straniera, una canzone d’amore, la mai appresa mia parte su questo palco di nebbia artificiale.

a pochi passi, la sua voce mi ritorna come eco

torna in  sillabe finali,

io mi ripeto

la mia parte infinita per comprendere il senso segreto  

l’eco della sua voce marcescente, una collisione di sillabe per dire a me narciso che mi ami

senza immagini da immaginare, come se fossi l’Altro.

scendiamo nel parking dell’hotel dietro la rue du Midi, on fume ensemble son pétard, t’as une  bière là, toi?

prise au  night shop de place fontanas, c’est l’ ramadam-  il vient de s’en souvenir ou il fait semblant?

se lo ricorda solo ora oppure finge?- fumiamo due tiri poi la sigaretta si scaccola si spegne, poco importa, bevo un sorso e gli occhi suoi guardano altrove, annebbiati di ipocrito silenzio  ma senza il pentimento dei cristiani,

e si materializzano i suoi addominali alzandogli la t-shirt sporca sopra la testa,

non ci spogliamo del tutto, ci facciamo una sega incolore prima che la nebbia lo riavvolga, risalendo dal fondo olioso del parcheggio, vado a mangiare mi dice, immagino abbia digiunato dall’alba,

ripeto il suo ciao per solo potermi ascoltare

nel tranello d’eco che ripete la parola  che insegna ad amare non se stesso, ma il proprio riflesso.