Archivi del mese: Maggio 2006

1.

il tesoro

 mezzogiorno

esco dalla porta laterale della Gare du Nord, mi trovo proiettato a Marrackesh, sfilo fra veli e incensi sulla rue de Bramant e musica di unguenti emana da tutti i negozi, 

 stordirsi fra le stradine e i mercati e la ressa e mi sento dentro un quandro di guttuso piùttosto che nella mia palermo da dimenticare, ma cosa sto cercando fra i banchi della frutta e in tutte le vetrine ed il riflesso del pianeta?

il premio della caccia al tesoro é in questo perdersi?

Al sexy shop con cabine porno un vecchio mi sguarda ipocritamente dal riflesso dei dvd porno esposti in vetrina, vado nei cessi e mostro la merce nella conchiglia tipo fontana di Duchamp, o Man ray o roba museale come il vecchio stesso, ed io mi sono assolutamente moderno, tanto che quando il vecchio porco esce dieci euri dalla tasca faccio il mio numero di eterosessuale omofobo e lo spintono, e ingiurio sale pédé, giusto perché si ecciti davvero ed esca il portafogli, 

Rientro nella gare du Nord e prendo un tram mi scopro a cercare giustificazioni: ma come cazzo ti permetti- dieci euri!- vabbé  che non va bene sempre, le strade si sono svuotate e battono solo due tossici e devo ripiegare sui massaggi su gayromeo e sul Vlan, e cose cosi’ e insomma niente da dimostrare potrei andare a spaccare pietre nelle buie miniere, ma ci sono troppi tesori da estrarre in superficie.

 2 .

mezzanotte 

 il ragazzo sembra marocchino o trapanese, arriva con una borsa di cianfrusaglie da vuotare con tutti  i suoi fantasmi:

poi si sveste e si sdraia sui due teli con cui copro il divano-letto che ho aperto, ha un intruglio oleoso col quale vuole lo massaggi e che pela le mani e olezza di eucaliptus e benzina o roba cosi’,

mi contatta per telefono- ho rimesso l’annuncio sul giornale delle pulci e finalmente é stato distribuito-

quando arrivo a massaggiare i lombi vuole che vada più a fondo.

in questa valle in cui i deserti si ricoprono di amianto,

 (se solo potessi risvegliarmi, prendere in mano il dolore e camminare

aprire le braccia al sole, sorprendermi di spalle in un istante in cui

sono distante

sfuggire il labirinto, potrei ancora salvarlo.

invece): nessuna speranza sono solo un marinaio e una puttana, cammino sopra le acque solo sui ponti.

e allora lui si vuole raccontare:

libano o pakistan, iran, alternativamente cambia nazionalità, mentendo sempre, come se fossi l’ufficio immigrazione e mi importasse,  posti che per me da bambino erano solo lampade magiche e tappeti in ghirigori, parole e gesti della mano in arzigogoli, una scrittura tutta di virgole, come la vita, e di come giocava a pallone di come si viveva nel gomitolo di strade,

 ed esce dalla borsa guanti da gommista e cacciavite  a stella dal manico ovoidale

e che vuole che sprofondi in questa valle i cui suo zio o suo padre o suo nonno o chissà lo trascinava, nel retro del garage.

(sorprendermi di spalle in un istante in cui sono lontano da tutto questo Male che mi  trama le vene, che si dipana ariannico per salvarmi oppure  perdermi?oppure una terza via che IO non conosco ancora, o forse mai)

 e che uno cosi’ lo violava, con olio di macchina che gli bruciava dentro, con olio di macchina perché siamo animali biomeccanici, e

io mi chiedo, in un attimo in cui mi sorprendo, incredulo, di spalle, se esistono officine e gommisti a Bagdad, 

e mi chiedo se almeno Sheherazade alla fine sia stata risparmiata.

tre del mattino

mi sveglio col presentimento che le mie mille notti non sono che una sola 

La chioma labirinto della Thalis spande effluvi nei canali

 Da dove cazzo hai preso sto nome? chiedo

Per caso, perché suona bene, risponde a caso, distratta e mutevole, davanti l’ennesimo Museo del sesso o tenda da circo chiede di entrare ma poi cambia avviso, scuote la testa, vuole lo spogliarello maschile, vuole un gelato, vuole il pantalone-minigonna in pelle rosso- lacca cinese e vuole un frustino per il suo cliente che chiama p’ti coeur pronunciato pedicure, vuole un tappeto rosso lungo il canale fino al Dam solo per lei, vuole che si rida della vita, vuol giocare a nascondino fra i canali, vuol giocare la Commedia della stella del cinema muto stafatta di coca , espressionistica posa e noi con macchine fotografiche usa e getta la raffiguriamo, vuole che non le chieda mai più perché la chiamano Thalis come il treno fra Parigi e Amsterdam;

 abbiamo  segreti  di pulcinella e come polline e seme che dall’infanzia ci perseguitano e a volte, ubriachi o troppo stanchi per celare, o nella tenerezza del sesso, confessiamo.

Il suo cliente mecenate grosso e occhialuto e parlantina azzeccagarbugli la porta come una regina  e lei  sbarca con una borsa in vinilpelle ed un beauty-case di plastica bianco perfettamente identico ai sacchetti della spesa nei supermercati di periferia,

la estenzione dei capelli arruffatissima e rossa le si intreccia e sfilaccia in una coda approssimata e sciolta ogni dieci secondi, scarpe da tennis vecchie, camicetta arlecchina. 

 A Parigi è tutto un fuoco e fiamme, voglio scappare per un po’ e poi nel Bois de Boulogne ormai ci si dà per 20 di bocca 40 bocca&culo guadagnano di più i maschi- mi dice.

Poi si scusa e va in bagno ad operarsi perché in auto la sua figa tubolare si è spostata,

La Thalis nessuno voleva prestarle i soldi per viaggiare tanto era brutto come frocetto e senza culo e denutrito a volte faceva pulizie dai vicini per una scodella di riso e a Guayaquil il barrio era povero e i lavori ognuno se li faceva da sé.

Poi JC chiese ad Anna di prestarglieli e la Thalis divento’ europea.

Amsterdam 2006

Fiumi e canali di fumi

passiamo davanti l’ostello Meeting Point.    comunmisterilcuorèrisorto. Con Nico alloggiammo li’   la notte i fantasmi ed i pusher bussavano alla porta di una camerata di trenta letti sovrapposti e tutti gli italiani scoppiati venuti qui con Virgin pagata da papà a fare gli alternativi scoppiati di funghi e vomitare nei cessi e non dormire che il giorno:

quando il sole sbavato fra le foschie del cielo uccide le rosse luci delle vetrine e le menzogne.

soprattutto quelle.

Cosi’ triste il resto del banchetto, le lattine stese come ponti sui canali, i rimasugli della “festa della regina” e noi siamo arrivati un giorno dopo, perché il cliente della Thalis da Parigi a Bruxelles si è smarrito tredici volte e sono arrivati talmente tardi che hanno pernottato qui.

Incrociamo la Maji che esce dal lavoro, davanti la sua vetrina siamo finiti per caso, ovvero domandando a tutte le “latine” in vetrina dove trovarla e di riflesso in riflesso finiamo all’angolo con un sex show club qualsiasi.

La festa della regina petroliera e puttaniera come venere da una conchiglia

Venus in shell,

La Maji è vestita come capita avvolta in un pastrano da uomo e con berretto e sotto tutti i capelli raccolti, cosi’ doveva apparie la notte che si travestì da cliente e accoltello’ la Loba, ma questa è un’altra storia. 

E poi beviamo e la Maji mi racconta di come si sposò facendosi passare per una donna e se non fosse stato per quella troia della Loba e la faccenda del coltello nessuno se ne sarebbe accorto.

È per merito suo che hanno  fatto la legge del matrimonio gay, dice la Thalis;

Mia figlia esagera dice la Maji.

La Talis ha molte madri, una è la Ana che le ha dato i soldi per viaggiare, una è la Maji che l’ha battezzata, per tacere della madre naturale che è quella che le pagò una puttana quando aveva 15 anni per correggerle il vizio: con i risultati che vedi mi dice strizzandosi le tette nel reggiseno.

 E poi chiedo alla Maji, giusto per fare incazzare alla Thalis perché quel nome.

In realtà io l’avevo chiamata Talia, una cantante mexicana bellissima, con l’augurio  che un giorno con le plastiche potesse diventare come lei, ma poi a Parigi le traveste le storpiarono il nome in Thalis, perché, dicono che sembra un Thalis dopo uno scontro frontale con l’eurostar, le maledette…